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“Il vostro lavoro è un segno, come i miracoli che faceva Gesù”

L’incontro del presidente della Cei con operatori, volontari, rifugiati e richiedenti asilo del Centro Astalli, a Roma, il 25 gennaio

Una scatola in legno intarsiato con il logo Astalli e le parole chiave: “Ero straniero e mi avete accolto”: l’opera di un rifugiato egiziano, che ha seguito un corso di falegnameria qui in Italia, è il dono che il Centro Astalli offre al cardinale Gualtiero Bassetti al termine di un pomeriggio trascorso insieme, per la giornata mondiale del rifugiato. “Qualcuno potrebbe pensare che siamo in ritardo rispetto alla giornata che con grande entusiasmo abbiamo celebrato con papa Francesco il 14 gennaio”, dice il presidente del Centro Astalli, padre Camillo Ripamonti. “In realtà, da una parte non si è mai in ritardo se vogliamo porre l’attenzione e riflettere sul tema dei migranti e dei rifugiati perché il fenomeno migratorio è strutturale nella nostra società; dall’altra siamo sempre un po’ in ritardo nel leggere il libro del mondo, soprattutto il capitolo riguardante le migrazioni. Siamo lenti a lasciarci interrogare veramente dalle richieste di felicità, di pace e speranza di migliaia di bambini, donne e uomini in cammino”.

Il Presidente della Cei porta a volontari e rifugiati “l’affetto e la solidarietà di tutti i vescovi italiani. Ed è questo il primo messaggio forte. L’incontro nella chiesa del Gesù è preceduta da una visita privata, più raccolta, ai locali del Centro in via degli Astalli.

Accompagnato da padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro e da padre Alessandro Manaresi vicepresidente,   Bassetti si sofferma a chiacchierare con i giovani in fila per la mensa, percorre il corridoio dove sfilano i vassoi con lenticchie, pasta al sugo e pollo, visita le cucine, l’ambulatorio, la cappellina dedicata alla fuga in Egitto. Prende un the con una piccola rappresentanza del mondo che scappa: Jawad e la moglie Nazifa, con il piccolo Mobin dall’Afghanistan. Boris e Oxana dall’Ucraina. Melanny dal Venezuela,  e poi Congo, Cina, Nigeria,  Senegal, Iran, Somalia…I genitori di Isabella e Marco Andres sono fuggiti dal Salvador: quando il pizzo che la criminalità chiedeva sui guadagni della loro industria di  famiglia  è diventato insostenibile hanno tentato di reagire. A farne le spese è stato il ragazzino. “Scappati in parrocchia, poi siamo stati costretti e iniziare una nuova vita in un altro paese”, raccontano Priscilla e Christian. Da un anno sono in Italia, accolti nel centro per famiglie di Astalli  intitolato a padre Pedro Arrupe. A breve dovrebbero avere il riconoscimento di rifugiati.

“Oggi non possiamo risolvere problemi immensi, ma possiamo porre dei segni esemplari. Gesù non sanò tutti i malati, ma quelli guariti erano un segno”, dice il cardinale incontrando gli operatori che rappresentano i diversi servizi di primo e secondo livello della rete del Centro Astalli, che, legata al Jrs (servizio internazionale dei gesuiti per i rifugiati) ha una rete di sette centri in tutt’Italia.

E un segno vuole essere anche l’incontro di riflessione e di spiritualità per la pace nel Mediterraneo che il cardinale vuole realizzare coinvolgendo i vescovi cattolici di rito latino e orientale dei Paesi che si affacciano sulle sponde del Mediterraneo. Bassetti lo ha lanciato al Consiglio Cei e nel parla con gli amministratori – il presidente della Regione Nicola Zingaretti, Il presidente dell’Assemblea capitolina Marcello De Vito, l’ambasciatore d’Italia presso la santa sede Pietro Sebastiani, il sottosegretario al ministero dell’interno Domenico Manzione, il presidente emerito della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick  –  che incontra nei locali del Gesù per un breve saluto prima di entrare in chiesa. “La finalità dell’iniziativa è quella di far incontrare culture e popoli, stimolando anche l’Europa a sentire maggiormente la realtà del Mare Nostrum”. Da buon toscano Bassetti colloca idealmente l’incontro nel solco della visione profetica di Giorgio La Pira, che era solito definire il Mediterraneo come una sorta di «grande lago di Tiberiade», come il mare che accomuna la «triplice famiglia di Abramo».

 

 

Al Dio della pace e della misericordia si appellano gli uomini e le donne che, nella chiesa del Gesù, pregano  in 20 diverse lingue – dall’arabo al wolof, dall’oromo al bambarà, dall’amarico al congolese e al curdo…- prima di concludere con la preghiera per il rifugiato scritta per l’occasione.

Sull’altare padre Camillo Ripamonti introduce i quattro rifugiati che si raccontano: “Sono storie fatte di tanti incontri, di tante relazioni nel bene e nel male, di tanti gesti e azioni che cercano di ricucire e pacificare il nostro vivere insieme ma anche di tante inadempienze, ritardi, mancanze personali e istituzionali che interrogano profondamente su chi vogliamo essere e dove stiamo andando”. Cita la Prolusione di Bassetti  e spiega che quelle storie danno un volto ai quattro verbi – accogliere, difendere, promuovere e integrare,-   fondati sui principi della dottrina sociale della Chiesa.

E così la parola passa a Soumalia, 29 anni, laureato in giurisprudenza, scappato dalla persecuzione in Mali. “L’Europa mi ha accolto, nonostante le resistenze, le chiusure, i muri, nonostante avrebbe preferito non farlo. L’Europa accoglie ogni giorno me e tanti rifugiati che non si lasciano fermare. Perché a scappare dalla morte si impara in fretta e un muro, un filo spinato, il mare, anche se d’inverno, come è successo a me, non fermano, non fanno paura chi non ha più nulla da perdere.”

Quindi è la volta di Osman, giovane somalo dall’accento romano, da dieci anni in Italia, che collabora con il progetto Finestre di Astalli. “Da quando sono rifugiato in Italia ho incontrato tantissimi ragazzi delle scuole superiori italiane. Ho raccontato tante volte la mia storia davanti a facce prima diffidenti, distanti, poi curiose, sbalordite e alla fine conquistate. Numeri, statistiche, razzismo e xenofobia ho capito presto che si combattono e si vincono solo con l’incontro, la conoscenza”.  Per Osman declinare la parola protezione vuol dire sia “raccontare ai ragazzi della Somalia, di me, della mia storia, di mia madre che è rimasta lì”, ma anche capire che oggi tocca a lui “ancora vivo, in salvo, lontano dalla guerra dover proteggere chi è rimasto in Somalia, proteggere e mantenere viva la memoria di tanti fratelli che sono morti in Somalia, nel deserto del Sahara, nel mare”.

Soheila, rifugiata dall’Iran, parla per le donne rifugiate: “Noi donne rifugiate non vogliamo portare rancore, guardiamo avanti, realizziamo il futuro perché siamo generatrici di speranza. In Italia ho imparato una parola bellissima: resilienza. Non a caso è una parola femminile. Non solo resistiamo al dolore ma noi al dolore mettiamo le ali e lo trasformiamo in futuro”.

Infine Jawad, dell’etnia hazara, afghano, racconta la sua travagliata fuga dal paese a 13 anni e poi l’arrivo in italia, il matrimonio con Nazifa, anche lei anche lei afgana, che aveva ottenuto anni prima una borsa di studio in ingegneria chimica. Cinque anni fa è nato Mobin. Da quando c’è lui “l’integrazione in Italia ha un significato nuovo: la sua lingua madre, l’italiano è per noi integrazione e la scuola che frequenta il primo luogo in cui la vediamo realizzata. Sognare di vederlo crescere qua è integrazione. Impegnarsi perché un giorno sia cittadino italiano. L’integrazione per me è essere uomo di pace ogni giorno. Uomo del dialogo con tutti. Uomo che studia e ama la cultura perché, come ripeteva mio padre, solo chi studia può cambiare il mondo”.

“Questi non sono racconti, ma brandelli di carne viva”, ha detto dopo l’ascolto delle storie Bassetti. I tanti sacrifici il dolore subito, dice il cardinale, “sono spesso dovuti alle nostre paure, che generano scarti, come dice papa Francesco”.  “Vedervi tutti insieme – profughi, volontari, gesuiti – e sentire i vostri racconti  mi fa venire in mente il miracolo della Pentecoste. Erano insieme popoli di Cappadocia, Egitto, Mesopotamia, di Roma. Popoli di lingue e di etnie diverse. E si verificò un miracolo: lo spirito di Dio discese e cominciarono a parlare tutti la stessa lingua. Era la lingua dell’amore, e non c’è creatura che non la capisca».

 

 

PREGHIERA CON I MIGRANTI E I RIFUGIATI

Dio della Pace ascolta la nostra preghiera.

Facci dono della pace dentro di noi e fra di noi.

Te lo chiediamo come popolo in cammino,

pellegrini sulle strade della Storia ancora troppo segnata da violenza, conflitti e ingiustizia.

Tu che pensi per noi e con noi un mondo in pace, guida i nostri passi su sentieri di fraternità.

Tu il Dio accogliente, insegnaci ad accoglierci reciprocamente nelle nostre diversità con la sapienza del cuore, attenti ai percorsi di ciascuno, a essere ospitali e capaci di condivisione.

Tu il Dio che protegge il povero che chiede aiuto, insegnaci a proteggere chi non vede riconosciuti i propri diritti e vede schiacciata la propria dignità.
Tu il Dio che promuove l’esistenza di ogni vivente, insegnaci a promuovere ogni persona nel proprio desiderio di felicità:
Tu il Dio che sempre è disposto a reintegrarci nel suo disegno di amore insegnaci a essere strumenti di integrazione di ogni bambino, donna e uomo nei complessi intrecci di relazioni delle nostre società.

Dio della Pace ascolta oggi la nostra preghiera:
mostraci la via di quella pace che tutti desideriamo e cerchiamo,
la pace che nasce nel cuore che cambia nell’incontro con l’altro accolto come dono,
la pace che nasce nel cuore di chi protegge i più deboli,
la pace che nasce nel cuore quando ci si promuove come persone,
la pace che cresce quando tutti possono vivere integrati nelle nostre città.

Dio amante della Pace, ascoltaci!

 

 

 

 

 

 

 

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