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Vestire un gesuita: abiti e composizione del guardaroba

Il vestiario dei gesuiti, non è esente dalle regole, cambiò nel corso dei secoli e la Compagnia provvide sempre a stilare regole per il vestiario e per la composizione del guardaroba di casa.

La vita di un gesuita non esula dalle questioni materiali, pur avendo nella dimensione spirituale e apostolica la sua massima realizzazione.

Come abbiamo visto nelle precedenti puntate, le carte dell’archivio storico aprono diverse finestre sul quotidiano dei gesuiti, in vari periodi storici. Il Provinciale o i Superiori sono spesso alle prese con questioni legate alla cottura e distribuzione del cibo, al riscaldamento delle residenze, al risveglio mattutino dei gesuiti.

Il vestiario dei gesuiti, non è esente dalle regole, cambiò nel corso dei secoli e la Compagnia provvide sempre a stilare regole per il vestiario e per la composizione del guardaroba di casa.

Informazioni sulle vesti dei gesuiti sono rintracciabili in molti documenti, dai diari del noviziato sappiamo che l’aspirante novizio, nell’Ottocento, non vestiva subito l’abito ma che trascorreva un breve periodo, una settimana o dieci giorni, in una zona separate del noviziato detta “appartamento”. Trascorso quel periodo, rinnovava la propria volontà di entrare in Noviziato, indossando l’abito. Dai registri di S. Andrea scopriamo che il novizio del Cinquecento e del Seicento non doveva toccare con il piede il pavimento, la mattina al suo risveglio, se non indossava già la sua veste.

Naturalmente regole e indicazioni, così come foggia e taglio della veste, mutarono con il tempo, come abbiamo visto qualche mese fa circa la questione della veste del Collegio dei Nobili di Roma.

Vediamo oggi alcune indicazioni in vigore nella Compagnia a metà Ottocento proprio sulla composizione tipo del guardaroba di casa.

Sacerdoti e maestri ogni anno dovevano avere un nuovo tipo di:

veste «di saja senza fodera sì nell’estate che nell’inverno»,
ogni tre anni «zimarra nuova di panno per l’inverno»,
ogni sei anni «mantello nuovo ai sacerdoti e ai maestri di scoto buono, e dovrà servire sì per l’inverno che per l’estate».

In una logica di riciclo e riuso: «le vesti, i mantelli, le zimarre che si dimettono dai Padri, dà Maestri e dagli scolastici debbono servire per i FF. Coadiutori».

Indispensabili poi le «calzette di saia compreso anche il piede, piuttosto larghe e in modo da potersi cavare e mettere facilmente»
Sopra «i calzoni che siano di tela greggia in tinta oscura con fodera o senza […] di nanchino cenericcio tessuto a spina nè luoghi ove non trovasi facilmente la canepa».

Infine, secondo le usanze dell’epoca…«Le mutande sono proibite».

Non è stato, ancora, rinvenuto, un bozzetto indicativo della veste così composta, tuttavia per i ricercatori non è difficile poterne ricostruire foggia e taglio mettendo a confronto le descrizioni contenute nei documenti ed quadri o le iconografie dei gesuiti che evidenziano il mutare della veste al passo con la moda dei tempi.

 

                                                                                                              Maria Macchi