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Sociale. Pedro Arrupe: il piano per Palermo e una rete per i giovani cervelli

Le opere della Compagnia che lavorano nel sociale hanno tutte uno stretto rapporto con il territorio in cui agiscono. Approfondiamo il tema con Anna Staropoli, sociologa dell’Istituto di Formazione Politica Pedro Arrupe – Centro Studi Sociali di Palermo.
“L’Istituto Arrupe è una realtà che ha sempre lavorato in maniera incarnata nel territorio. Ultimamente, però, ci siamo interrogati su perché tante idee buone e prassi significative della città, che avevano momenti di eccellenza e riconoscimento nazionale e internazionale, poi facevano fatica ad avere continuità nel tempo. Abbiamo così deciso di utilizzare un’altra strategia: fare in modo che le iniziative degli altri diventassero anche le nostre e viceversa. Una condivisione non più solo dei risultati ma anche della fase processuale e progettuale. Si tratta di pensare le cose insieme e di fare in modo che vengano recepite dalla istituzioni, dai referenti politici come azioni di sistema”.

In che maniera il lavoro di rete e di riflessione contribuisce al disegno delle politiche sociali di Palermo?
“Ultimamente si è condivisa la possibilità di un piano per Palermo che vedesse attivi non solo le realtà di terzo settore, ma anche gli operatori pubblici e i policy maker, gli assessori motivati a condividere un percorso di progettazione partecipata. Così in due giornate, il 10 e l’11 aprile, in uno dei luoghi significativi di Palermo, i cantieri culturali della Zisa, un luogo rinato alla città, un ex laboratorio industriale diventato laboratorio di idee, circa 200 persone si sono incontrate con un’iniziativa promossa dal Comune di Palermo ed in particolare dall’ Assessore alla cittadinanza Agnese Ciulla, ma costruita con un metodo partecipativo dal basso. Abbiamo lavorato per creare un piano per la città, che potesse anche dare una visione sociale della città condivisa, aiutare a sfruttare meglio le risorse della nuova programmazione comunitaria 2014 e 2020. Risorse che spesso sono arrivate in Sicilia ma a pioggia, in maniera frammentata e non sono state utilizzate al meglio. Non singole iniziative, dunque, ma un progetto sociale sulla città dove ogni azione ha una sua sostenibilità perché non è più della singola associazione ma della città. L’idea è di non fermarsi, ma di continuare con focus tematici, in modo da ascoltare chi ha punti di vista particolari, donne immigrati e giovani, e poi passare al lavoro più periferico con le circoscrizioni, con proposte più concrete e più vicine ai singoli territori”.

Quali caratteristiche presenta, rispetto a questa azione, la città di Palermo?
“Palermo è una città complessa, anzi più che policentrica la definirei un mosaico di tante periferie, fatta da tante periferie che hanno punti di forza e di debolezza. Le criticità sono dovute al fatto di vivere in una situazione di marginalità rispetto alla distribuzione delle risorse economiche e di potere, ma ciò porta anche dei vantaggi, perché vengono elaborate idee più innovative e significative. Abbiamo periferie da cui sono nati centri aggregativi per ragazzi autogestiti, luoghi significativi per le donne, non è un caso che anche un’esperienza come quella di padre Puglisi nasca in una periferia come Brancaccio, come momento di resistenza forte alla mafia. Le periferie sono sì luoghi del “ disagio” ma anche spazi dove si matura e si diffonde dal basso una cultura politica “innovativa”.

Qual è la lettura “ignaziana” da dare a questo tipo di esperienza in corso?
“Il cuore della pedagogia ignaziana è la rilettura delle esperienze, attraverso quel metodo significativo fatto di esperienza riflessione e azione. Noi siamo partiti da quello che il contesto offriva, dalle buone prassi realizzate nel territorio, dall’ascoltare non solo i bisogni ma anche i desideri del territorio. Abbiamo ascoltato anche i giovanissimi delle periferie, e, insieme al Centro Astalli e ad altre realtà sociali del territorio anche i bisogni e i desideri degli immigrati, di chi non può più condurre “una vita degna” . E’ stata fatta una riflessione scientifica, abbiamo convocato esperti, messo insieme la testa con le braccia, mettendo a diretto contatto le persone in disagio con chi fa ricerca, con chi ha la possibilità di riflettere e portare anche delle proposte di soluzione al disagio. Spesso ci interfacciamo con i politici, i referenti istituzionali, perché queste azioni devono diventare sistema, diventare regolamenti, possibilità di creare consulte, di entrare nella macchina amministrativa comunale o regionale, per avere sostenibilità nel tempo. Perciò è importante fare lavoro congiunto con referenti politici, anche se con coscienza critica, dalla parte sempre di chi vive un disagio sociale. Con forza e passione, presentando proposte concrete sulle quali chiediamo delle risposte. E’ importante che anche la macchina amministrativa si muova. Non è più il tempo di fare le cose da soli o in maniera unilaterale. Non ce lo possiamo più permettere. La crisi ha offerto l’opportunità per incontrarsi non più sui fondi e i finanziamenti, ma sulle idee e sulla voglia di fare crescere i nostri territori”.

Come si colloca questo lavoro di rete all’interno delle altre attività che l’Arrupe porta avanti?
“Ci occupiamo di formazione, di master in progettazione, in passato in politiche pubbliche e vogliamo fare in modo che i nostri studenti non fuggano via. Al Sud c’è bisogno di intelligenze nuove e fresche, per rinnovare le leadership sia pubbliche che private del territorio. C’è il rischio di uno stallo politico e istituzionale, e che si ripetano sempre gli stessi scenari, che non si innovi, che non sia dia spazio alle nuove generazioni. I nostri sono giovani ben formati, con competenze, anche grazie all’idea ignaziana del tutoraggio, un percorso personalizzato per ciascun studente. E’ una ricchezza che vogliamo mettere a servizio della città e della regione. Questo è il punto in cui possono incontrarsi le varie attività dell’Arrupe con un piano per Palermo, “facendo in modo che i giovani non vadano più via ma restino a lavorare per il territorio”.

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