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Rifugiati, Zenari «In Siria metà della popolazione vive fuori dalle proprie case»

Il Nunzio apostolico a Damasco ha descritto la situazione nel Paese dilaniato dalla guerra durante l’incontro “Rifugiati di Pace” organizzato dal Centro Astalli alla Gregoriana per la Giornata mondiale del rifugiato.

(Romasette, di Andrea Acali)

«La guerra in Siria finirà quando finirà a New York, nel Palazzo di Vetro dell’Onu. Ho seguito una seduta del Consiglio di sicurezza e non ho mai visto tanta contrapposizione». Ne è convinto il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, che ha partecipato all’incontro promosso dal Centro Astalli presso l’Università Gregoriana in occasione della Giornata mondiale del rifugiato. Un dialogo, moderato da Paolo Mieli, con il presidente della Fondazione La Pira, Mario Primicerio, aperto da padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli che ha sottolineato come «in un tempo di soluzioni semplicistiche» il «primo passo per la comprensione sia il dialogo».

“Rifugiati artigiani di pace” era il tema scelto. Per questo è stato ancora più forte il contrasto con le foto che il cardinale ha voluto mostrare. Palazzi sventrati, genitori con i corpi dei figli martoriati, bambini feriti, in lacrime, spaventati. E ancora file di profughi, esplosioni, tendopoli. Immagini note ma che continuano ad essere un pugno nello stomaco. Eppure, il dramma della guerra in Siria sembra quasi dimenticato. Un conflitto che ha causato mezzo milione di morti, uno e mezzo di feriti, 5,6 milioni di rifugiati e 6 di sfollati interni. «Metà della popolazione vive fuori dalle proprie case – ha detto il cardinale – Qualcuno forse sogna il barcone ma tutti sognano il proprio focolare. Ho visto con i miei occhi famiglie rientrate ad Aleppo Est, distrutta, in case senza porte, finestre, gas, acqua. Ma lì c’era il focolare».

I bambini e le donne. Sono loro che pagano il prezzo più alto di una guerra nata dalla ribellione di un gruppo di adolescenti e diventata un campo di battaglia «su cui si confrontano cinque dei più potenti eserciti del mondo». Zenari ha raccontato la testimonianza di una donna del Ghouta, una delle tante costretta a dare da mangiare ai figli a giorni alterni. «Mia figlia piange quando le chiudo la porta perché capisce che non è il suo turno e dormirà a stomaco vuoto». O quella di un infermiere in lacrime di fronte alla disperata supplica di un ragazzino che doveva subire l’amputazione di un piede spappolato dalle bombe. Storie che il cardinale ha sintetizzato con una «confessione» personale: «Quando arrivo a S. Pietro, mi fermo davanti alla Pietà di Michelangelo, mi isolo dai commenti delle guide e lì vedo la Siria che ha in braccio i suoi figli morti e feriti».

Poi ancora un pensiero per le donne siriane: «Sono loro le mie star. Nessuno le intervisterà, non sono eleganti, non avranno riconoscimenti ma hanno la precedenza».
Nel segno di La Pira l’intervento di Primicerio che ha ricordato come «non può esistere pace nel Mediterraneo senza la pace di Gerusalemme. La vera domanda da farsi è a chi conviene la guerra. Ormai è talmente distruttiva che non si può fare a meno di dire che non è la soluzione, prima ancora di esprimere un giudizio morale».

In questo contesto qual è il ruolo delle religioni? «Mi è dispiaciuto – ha ammesso il cardinale Zenari – non vedere all’inizio del conflitto un ruolo dei leaders religiosi per smorzare i toni. Ma le chiese ora stanno recuperando sul piano umanitario. Noi cristiani siamo pochi, forse il 2%, ma in Siria abbiamo dato un grande contributo. Per questo ogni famiglia che parte è una finestra che si chiude e che impoverisce non solo la Chiesa ma anche la società. Non vorrei mancare di rispetto ai nostri fratelli rifugiati – ha concluso il cardinale – ma quando sono a Roma, anche se abito con il Papa a Santa Marta, mi sento un po’ sfollato e non vedo l’ora di tornare a Damasco».

20 giugno 2018

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