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Siria. Appello a un anno dal rapimento di padre Dall’Oglio

“E’ oramai passato un anno da che non si hanno più notizie di nostro figlio e fratello Paolo, sacerdote, gesuita, italiano, scomparso in Siria il 29 luglio 2013. Tanto, troppo tempo anche per un luogo di guerra e sofferenza infinita come la Siria”. Inizia così il breve comunicato della famiglia di padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita scomparso in Siria un anno fa. “Chiediamo ai responsabili della scomparsa di un uomo buono, di un uomo di fede, di un uomo di pace, di avere la dignità di farci sapere della sua sorte”, scrivono i familiari, che hanno registrato anche un appello video. “Vorremo riabbracciarlo ma siamo anche pronti a piangerlo. Il 29 luglio, ad un anno dalla sua scomparsa, dice la famiglia Dall’Oglio, “in tanti pregheremo e saremo vicino a lui, a tutti i rapiti, agli ingiustamente imprigionati e alle tante persone che soffrono a causa di questa guerra”.

La redazione del mensile Popoli ha pubblicato la lettera intitolata “Aspettando Padre Dall’Oglio”:
“Non si sa più nulla di te, caro padre Paolo. Non si sa nemmeno, con esattezza, il giorno in cui dobbiamo celebrare l’anniversario della tua scomparsa: c’è chi dice il 27 luglio, chi il 28, ma probabilmente il giorno del rapimento è il 29. Poco importa, naturalmente. Ci importa, adesso, dirti che il pensiero e la preghiera non sono mai mancati in questi dodici mesi pieni di tristezza e di ansia.

Noi crediamo, vogliamo credere, che tu sia vivo, a combattere – per quello che ti è possibile – per la pace, a gridare per il dialogo (combattere per la pace, gridare per il dialogo sono frasi che sembrano un controsenso, ma nel tuo caso ci paiono proprio azzeccate) e vorremmo mandarti, seppure a distanza, un grazie e un abbraccio.

Un grazie, perché molte cose che dicevi e scrivevi (anche su Popoli) le abbiamo capite meglio in questi mesi di assenza, in cui la distanza obbliga ad andare all’essenziale. Come avevi ragione, ad esempio, quando avvertivi che, se ci si fa guidare dai propri fantasmi, quei fantasmi poi si materializzano, irrimediabilmente. Che la paura è la madre di tutti i fondamentalisti, in un “circolo ermeneutico infernale”, così lo chiamavi: le paure legittimano la repressione, che crea l’estremismo, che giustifica le paure. E come avevi ragione quando prevedevi che abbandonare al suo destino la parte sana e democratica dell’opposizione siriana ad Assad avrebbe fatto trionfare i suoi oppositori più estremisti e terribili, finendo con il favorire lo stesso dittatore.

Ti abbracciamo, dovunque tu sia. Sono tempi duri per i costruttori di ponti: in Siria, in Ucraina, in Israele e in mille altri luoghi… Ma sappiamo che non basta questa consapevolezza a scoraggiarti. “Io ovviamente annuncerò, fino al martirio se necessario, la Buona Novella dell’amore di Gesù!”, scrivevi in un libro di qualche anno fa (Mar Musa. Un monastero, un uomo, un deserto, Paoline 2008); parole che forse dovrebbe andarsi a rileggere soprattutto chi – prima e persino dopo il rapimento – ti ha dipinto come un cristiano all’acqua di rose, un doppiogiochista al servizio dell’Islam. E poi proseguivi: “L’unico mezzo per donare la propria vita per Gesù consiste nell’aiutare ognuno a essere un pellegrino di verità”.

È quello che hai sempre cercato di fare e certamente farai ancora, tu per primo pellegrino in cammino sulle orme di Abramo. Ti aspettiamo, abuna, per continuare a pellegrinare insieme”.

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