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Roma. Misericordia è anche garantire l’istruzione: la campagna del JRS

Garantire istruzione a 220mila rifugiati entro il 2020. È l’obiettivo della campagna “Putting Mercy in Motion” del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (Jrs)

L’iniziativa, che punta a raccogliere 35 milioni di dollari da privati e istituzioni, è stata presentata a papa Francesco lo scorso 14 novembre in occasione dei 35 anni della nascita del Servizi odei Gesuiti per i Rifugiati e lo scorso 10 dicembre in conferenza stampa alla Radio vaticana.

“Noi crediamo profondamente che l’istruzione sia qualcosa che può trasformare le persone e le comunità”, spiega P. Thomas Smolich, direttore internazionale del Jrs che sottolinea come “L’educazione sia l’anello debole degli investimenti in politiche umanitarie, anche se è fondamentale quanto cibo, salute e sicurezza. Già 120 mila persone ricevono i servizi educativi dell’Jrs, principalmente in Africa e in Siria, Libano e Giordania. L’obiettivo è quello di raggiungere altre 100 mila persone in cinque anni, focalizzandosi sui ragazzi tra i 13 e i 20 anni”.

L’istruzione è certamente una priorità per coloro che rimangono nei Paesi martoriati dalla guerra, dove andare a scuola diventa sempre più difficile, come racconta Samer Afisa, arrivato in Italia un mese fa da Damasco e assistito oggi dal Centro Astalli, la sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati.

“C’è una scuola nella zona della città vecchia a Damasco, che è stata colpita da un missile proprio mentre i bambini stavano a giocare. E’ stata una tragedia. Più di 100 bambini sono stati ricoverati all’ospedale. Nonostante ciò, si cerca di vivere regolarmente, si pensa di poter vivere, ma la situazione è molto dura. Negli ultimi tre giorni, non c’è più elettricità a Damasco. All’inizio dell’anno scolastico, hanno cercato di regalare a tutti i bambini lo zaino, i quaderni, le matite, per farli andare a scuola, ma molti hanno paura”

Per il Centro Astalli, che da 35 anni lavora in Italia al fianco dei rifugiati offrendo servizi di prima e seconda accoglienza, la scuola è sempre stata una priorità, sottolinea Donatella Parisi, responsabile comunicazione Centro Astalli che aggiunge: “In particolare la scuola di italiano del Centro Astalli, frequentata da 120 studenti, ha come obbiettivo fondamentale la ricostruzione della dignità della persona, la possibilità di un reinserimento sociale, la valorizzazione delle capacità personali, attraverso l’apprendimento della lingua italiana”.

Oltre ad una scuola che accoglie il Centro Astalli da oltre dieci promuove progetti didattici rivolti alle scuole medie e superiori  italiane, in cui i rifugiati divengono protagonisti di un’offerta culturale.

“Da oltre 10 anni inoltre proponiamo in oltre 100 scuole italiane il progetto Finestre – Storie di Rifugiati sul diritto d’asilo per far conoscere alle nuove generazioni di italiani chi sono i rifugiati, la loro storia e i motivi che li hanno portati fino in Italia. Lo facciamo attraverso l’incontro tra rifugiati e studenti. In questo modo ogni anno incontriamo migliaia di ragazzi che spesso, per la prima volta in vita loro, ascoltano dalla viva voce di un testimone cosa significhi affrontare la dura esperienza dell’esilio.

Tra di loro, c’è Aweis Ahmed, che dalla Somalia ha rischiato la vita attraversando il deserto e il Mediterraneo e che ha raccontato la sua esperienza di rifugiato in Italia a conclusione della conferenza stampa: “Quando ho conosciuto il Centro Astalli, mi sono sentito accolto. Mi hanno aiutato fino a quando non ho trovato un lavoro. I primi sei mesi mi hanno aiutato a pagare l’affitto. In Italia sono stato sei mesi per aspettare i documenti, poi sono andato via in Olanda perché dormivo in strada. Dopo due anni sono ritornato in Italia… andavo alla mensa per mangiare, dormivo in strada, non lavoravo, nessuno mi parlava e nessuno si interessava di me. Tramite il Centro Astalli, ho cominciato a conoscere gli italiani e sapere come vivono. Oggi racconto in classe la mia storia agli studenti. È una bella esperienza, mi sentire utile: è il mio modo per dire grazie al Paese che mi ha accolto ma è anche l’unica via che ho trovato per cercare di tenere alta l’attenzione su quanto accade in Somalia e sul terribile viaggio che devono affrontare i rifugiati per giungere in Europa”.

 

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