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Roma. Francesco ai gesuiti: “Umili, creativi, radicati nella Chiesa”

Un momento in famiglia, tra confratelli. Così Papa Francesco ha voluto celebrare la festività di Sant’Ignazio, in forma privata, presso la chiesa del Gesù a Roma, dove si trova la tomba del fondatore della Compagnia. Agli inizi della liturgia, cui hanno partecipato 283 gesuiti e circa 600 tra collaboratori e amici della Compagnia, il Padre Generale ha accolto Papa Francesco con queste parole: “Quando viaggio mi chiedono spesso di Papa Francesco. La cosa che più mi ha colpito, rispondo, è che si sente profondamente gesuita nel modo di sentire, di reagire alle diverse questioni. Si sente e pensa come un gesuita. Oggi come gesuiti”, ha continuato padre Nicolas, rivolgendosi a Francesco, “vogliamo ascoltare da te cosa vuoi da noi tuoi fratelli nel servizio alla Chiesa, e internamente sentire di essere uniti a Pietro, cosa che è stata importante per tutti i gesuiti, da sant’Ignazio fino a padre Arrupe e al padre Kolvenbach”.
Tre i messaggi che il Pontefice ha consegnato alla Compagnia. Il primo: la centralità di Cristo e la centralità Chiesa. “Il gesuita che mette al centro se stesso e non Cristo sbaglia”, dice Bergoglio. I “due fuochi” non hanno senso l’uno senza l’altro: “Non posso seguire Cristo senza essere al servizio della Chiesa”. I gesuiti sono “uomini radicati nella Chiesa”, che non fanno “cammini paralleli o isolati”, ma, “con generosità e spirito di obbedienza”, sono “nelle periferie, in ricerca, con creatività”.
Il segreto per “essere decentrati” sta nel lasciarsi conquistare da Cristo. E’ il secondo punto dell’omelia: lasciarsi conquistare da Lui per servire. E’ l’esperienza che fa Ignazio a Loyola o Paolo sulla via di Damasco. “Io cerco Gesù perché lui mi ha cercato per primo”. “Questo è il cuore della nostra esperienza”, dice Francesco. “Essere conquistato da Cristo per offrire a questo Re tutta la nostra persona e tutta la nostra fatica (…), imitarlo nel sopportare anche ingiurie, disprezzo, povertà” dice. Poi fa riferimento al padre Paolo Dall’Oglio: “Penso al nostro confratello partito per la Siria”.
Infine Francesco invita l’assemblea a un bagno di umiltà: “Sentiamo vergogna per i nostri limiti e i nostri peccati, per essere umili davanti a Lui e ai fratelli ”, spiega elaborando il terzo punto. “Chiediamo la grazia della vergogna che viene dal continuo colloquio di misericordia con Lui, che ci spinge a mettere in silenzio noi stessi e le nostre idee, a vivere con umiltà. Perché non siamo noi a costruire il Regno di Dio, ma è sempre la grazia del Signore che agisce in noi”.
Nel chiudere la sua omelia il Papa dice di pensare spesso al momento del tramonto nella vita di un gesuita, e cita due icone. Quella di Francesco Saverio, che finisce la sua vita “senza avere nulla ma davanti al Signore”. E Padre Pedro Arrupe, il generale della Compagnia che ha vissuto “un tramonto tanto lungo ed esemplare”. Alla fine della celebrazione il Papa ha sostato davanti agli altari di Sant’Ignazio e di San Francesco Saverio, e si è fermato alla cappella della Madonna della Strada, il quadro davanti al quale pregò Ignazio con i primi compagni e del quale una piccola riproduzione in argento, eseguita dall’argentiere italo argentino Ettore Frapiccini, gli è stata donata dal provinciale di Italia, Padre Carlo Casalone. Poi Francesco si è recato alla tomba di Pedro Arrupe, nella cappella della passione, dove si è fermato in una lunga preghiera silenziosa.

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