Passa al contenuto principale
Gesuiti
Gesuiti in Italia, Albania, Malta e Romania
News
Gesuiti News Ricostituzione. Padre La Manna: “Accogliendo si impara ad accogliersi”
News

Ricostituzione. Padre La Manna: “Accogliendo si impara ad accogliersi”

E’ padre Giovanni La Manna, direttore del Centro Astalli, a rispondere alle provocazioni di papa Francesco ai religiosi.

Come tenere insieme gli impegni della missione e quelli della vita comunitaria?
“L’esperienza di questi anni di vita a sant’ Andrea al Quirinale e di servizio al Centro Astalli, mi ha insegnato che è fondamentale che la Comunità abbia innanzitutto un progetto condiviso dai membri della Comunità in modo da avere presente la missione di ciascuno e rendere partecipe la Comunità alla Missione. Bisogna ragionare in modo includente, non solo concentrati sulla missione o sull’andamento della Comunità. I gesuiti impegnati in missione, sono anche i membri della Comunità: le due dimensioni sono chiamate a dialogare in modo che la missione sia supportata dalla Comunità e quest’ultima si senta vivificata dalla missione a partire dalla preghiera, dalla condivisione degli spazi, dall’ascolto e confronto reciproco dei membri stessi della Comunità. Così come si dedica tempo alla missione, è necessario dedicare del tempo alla Comunità, un tempo gratuito. Quando si stabiliscono relazioni sane, si vive il desiderio e la contentezza di ritornare in Comunità. Il superiore della Comunità ha come prima responsabilità l’attenzione alle persone e la disponibilità all’incontro. La dimensione dell’apertura all’altro è fondamentale sia nella missione che nella comunità. Realizzare comunità di solidarietà, vuol dire assumere uno stile di vita che ci aiuta a vivere nella realtà che ci circonda, imparando sempre più a condividere ciò che siamo e abbiamo, senza considerare le cose di cui disponiamo come nostre”.

Come lottare contro la tendenza all’individualismo?
“L’individualismo è una tentazione di molti di noi, viviamo l’illusione di poter vivere e realizzarci da soli, eliminando i conflitti che sono motivo di stress. Se c’isoliamo nelle nostre comunità, spesso comode, è perché viviamo chiusi. Noi, quando torniamo nelle nostre comunità, possiamo permetterci di chiudere fuori della porta il mondo. Per questo è fondamentale vivere aperti come comunità, accogliendo, perché accogliendo s’impara ad accogliersi anche come confratelli, la soluzione non è tagliare le relazioni, isolandosi ma vivere sempre più la fatica di aprirsi all’altro, preferendo il confronto, prendendosi un tempo per conoscere e lasciarsi conoscere dall’altro, che così non è più un nemico, un fastidio. La scelta, la sfida, è scegliere di vivere aperti senza illudersi di potersi isolare dal mondo e dalla realtà che ci circonda. Spesso siamo bravi fuori dalle Comunità, mentre diventiamo insopportabili in Comunità. Mantenersi nella realtà, c’insegna anche a collaborare, così come sono chiamate a fare le persone del mondo che non hanno la possibilità di scegliersi i collaboratori o di poter lavorare da sole. Siamo più portati a piangere con gli altri e facciamo fatica a gioire con gli altri, essere contenti per i successi del confratello. Forse dovremmo fare più sport, questo c’insegnerebbe concretamente cosa vuol dire e quanto è importante fare gioco di squadra, è la squadra che vince, il campione da solo fa poco anche se può fare la differenza e si è contenti d’avere un fuoriclasse in squadra. Ritorniamo al Vangelo e riscopriamo come vivevano le prime comunità che erano capaci di stare insieme in semplicità, gioia e condivisione dei beni”.

Come comportarsi con i fratelli in difficoltà o che vivono o creano conflitti?
“In ogni famiglia c’è o può esserci la pecora nera. Ebbene, è fondamentale conoscersi e dato che la nostra formazione è lunga, la conoscenza è possibile. I fratelli in difficoltà, vanno accolti, capiti e accompagnati a uscire dalle difficoltà, ai superiori è richiesta la responsabilità di un’attenzione fattiva. Paghiamo per anni in cui i fratelli in difficoltà o difficili, come unica soluzione, hanno trovato il trasferimento in altra comunità, accompagnati dall’etichetta “rompiscatole”. Nessuno decide di andare in difficoltà, chi si trova in difficoltà, molto probabilmente ha percorso un cammino che l’ha portato alla situazione di difficoltà, per questo è importante l’attenzione ai confratelli per accorgersi delle scelte di ognuno e poter contare sulla correzione fraterna. Bisognerebbe vivere nelle comunità quanto predichiamo fuori: non lasciamo nessuno solo. I conflitti, possono nascere da tante situazioni, se ne viviamo tutti una parte di responsabilità, forse avremo il desiderio di comprendere quali le cause dei conflitti. E’ fondamentale conoscere le persone per evitare che finiscano in difficoltà e stando male creino conflitti. I superiori hanno la responsabilità di mettere le persone al posto giusto. Spesso, i superiori, si sono rassegnati e hanno dimenticato i confratelli nelle loro difficoltà o ferite. C’è bisogno di crescere spiritualmente e umanamente, liberi da giochi di psicologia e la soluzione non può solo essere affidare i compagni ad un percorso di accompagnamento psicologico. Noi, religiosi, abbiamo un privilegio, quello di poter contare su un padre spirituale che è uno strumento importante per riconoscere le difficoltà e superarle”.

Come coniugare giusta risposta e misericordia davanti a casi difficili?
“E’ difficile trovare una risposta che possa valere per tutti. E’ fondamentale conoscere le persone e capire come rispondere. In alcuni casi il buonismo ha fatto più danni che la fermezza di scelte coraggiose. Se non sappiamo accompagnare i nostri confratelli nella difficoltà, con quale autorevolezza e credibilità, ci proponiamo all’esterno nell’accompagnamento dei laici? I casi difficili non possono spaventarci, prendiamo esempio dalle madri o i padri che hanno figli difficili, rimaniamo umili. Non dimentichiamo di ritornare al Vangelo, dove troviamo esempi concreti di come Cristo ha accolto e accompagnato i casi difficili”.

Come annunciare Cristo ai giovani, a una generazione che cambia?
“Per annunciare ai giovani, c’è da tenere presente ciò che Papa Francisco ci ricorda: NON ABBIAMO BISOGNO DI MAESTRI MA DI TESTIMONI. Un testimone autentico credibile che vive ciò che crede, supera ogni barriera generazionale o difficoltà di linguaggio. Spesso ci perdiamo dietro le tecniche comunicative che sono importanti ma se alla base non c’è un’esperienza vera, profonda, di vita del Vangelo, saremo capaci di muovere i giovani emotivamente ma passata l’emozione, rimarrà ben poco. Siamo capaci di studiare tante proposte, tante esperienze ma forse vale la pena di concentrarsi sull’esperienza d’incontro con Cristo e il suo Vangelo. La parola è importante ma la testimonianza è fondamentale, siamo chiamati a essere testimoni credibili. Le persone sono capaci di distinguere una bella predica, da una parola vissuta e testimoniata. Piazza san Pietro piena ci dice che le persone cercano testimoni credibili che vivono quanto annunciano. Il Vangelo ha 2000 anni, ed è sempre attuale, viviamolo e supereremo il punto che le generazioni cambiano”.

Ultime notizie
Esplora tutte le news