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Padre Generale. I gesuiti, la povertà e l’obbedienza: intervista a padre Nicolás

Una conversazione con il Padre Generale su temi che Papa Francesco sta approfondendo con il suo magistero e la sua vita

 

 

Povertà e Solidarietà. Se guardiamo alla Compagnia universale, talvolta può sembrare che alcuni dei nostri vivano con i poveri, mentre altri hanno pochi contatti con loro, se non addirittura nessuno. Cosa direbbe a un gesuita che ha pochi contatti con i poveri?

 

R. Gli direi che sta perdendo qualcosa, se non altro una grande opportunità. I poveri ci danno un insegnamento unico sull’umanità e sul vero valore dell'”essere” rispetto all'”avere”, i criteri di una vera amicizia, e cose di questo tipo. Allo stesso modo, essi ci insegnano qualcosa del Vangelo, che non potremmo apprendere in altro modo, a meno che non siamo molto avanti nella via del Signore, cosa di cui nessuno penso si possa vantare. Nessuno può essere forzato a condurre una vita che possiamo considerare ideale. Come il mio predecessore, il Padre Pedro Arrupe, disse a un gruppo di gesuiti: “Nella Compagnia,tutti sono chiamati a operare per i poveri; alcuni (un buon numero) sono chiamati a operare come i poveri; e pochi sono chiamati a operare con i poveri”. È importante mantenere il rapporto dinamico tra Tutti, Alcuni e Pochi. Questo rispetta le scelte di ognuno ed è aperto alla varietà di risposte di ognuno alla chiamata del Signore.

 

All’inizio del suo pontificato, papa Francesco ha detto di volere una “Chiesa povera per i poveri”. Possiamo dire lo stesso della Compagnia?

 

R. Senza alcun dubbio e ancor di più. Dopo tutto, noi facciamo un voto di povertà che deve pur voler dire qualcosa nel mondo attuale. Le difficoltà di metterlo in pratica non tolgono il fatto che il voto non è una scelta individuale, ma un modo di vivere dell’intero Ordine.

 

Talvolta i gesuiti possono avere paura di lavorare con i poveri; come se fosse una sorta di vocazione speciale che non condividono. Cosa direbbe a un gesuita che la pensa così? Come possiamo vivere in maniera solidale con i poveri nel mondo attuale?

 

R. È molto difficile vivere in maniera solidale con chiunque, se non conosciamo lui, la sua vita e i suoi problemi. La solidarietà implica una sorta di vicinanza che sia affettiva e affettuosa. È qualcosa di simile a ciò che il generale Uria fece quando Davide voleva nascondere il suo peccato. Il generale rifiutò di tornare a casa e da sua moglie, per solidarietà con i propri soldati. Un gesuita, mio amico, disse che desiderava che i gesuiti avessero, almeno, raggiunto il livello di spiritualità di questo grande pagano della Bibbia.

 

 

Obbedienza – Volontà di Dio e Processo

 

 

Prima di diventare Superiore Generale, qual era la sua esperienza di vita riguardo all’obbedienza?

 

R. Era l’esperienza ordinaria di tutti i gesuiti. Cresce in te il desiderio di trovare e mettere in pratica la Volontà di Dio, e il Superiore della Provincia o della tua Comunità diventa il mediatore. Così, per esempio, quando il Padre Generale Janssens richiese volontari per diverse missioni, io mi offrii volontario e venni inviato in Giappone. In questo processo niente differisce da ciò che ci si attende da ogni gesuita.

 

Per molti gesuiti l’obbedienza consiste nel portare avanti il loro lavoro giornaliero. Vi è un modo in cui i gesuiti possano trovare il senso della loro vita in questa esperienza, invece di considerarlo solo un’incombenza?

 

R. Tutto dipende dall’atteggiamento, dal cuore con cui si compie la missione, il lavoro, o le incombenze che comportano. Ciò che dà la vita non è il lavoro, né le incombenze, ma il Signore, che ci chiama al suo servizio. Questa è la chiave per il nostro discernimento e la nostra libertà, perfino nell’obbedienza più difficile. Quand’ero giovane, ho sentito una volta un gesuita dire: “Negli anni della gioventù il voto più difficile da mantenere può essere la castità, ma negli anni della maturità è l’Obbedienza”.

Forse la risposta a questa e ad altre domande è la revisione del processo dell’obbedienza; il recupero della “ricerca”, il rifiuto di rendere la volontà di Dio meccanica e automatica e il nostro coinvolgimento in questa ricerca. È importante che io sappia che il Superiore ed io stiamo perseguendo un medesimo obiettivo, che è la Volontà di Dio nella missione. Ciò che è davvero importante non è la mia volontà o lo sviluppo dei miei limitati talenti ma il servizio delle anime, dal momento che noi, corpo della Compagnia, ci impegniamo in questo servizio nella Chiesa.

 

Molte persone esterne ai gesuiti rimangono perplesse riguardo al nostro stile di obbedienza. Potrebbe spiegare loro in che modo la Volontà di Dio opera tramite il nostro modo di governare?

 

R. Come ho appena detto, nessuno può dire di conoscere la Volontà di Dio con certezza. Siamo tutti in ricerca e dovremmo sempre essere in grado di discernere quale sia la Volontà di Dio. Si tratta di un argomento così importante che Sant’Ignazio arrivò a ritenere che, se il soggetto ha ragioni molto valide e importanti per cui un ordine concreto del Superiore possa non corrispondere alla Volontà di Dio, a causa delle sue conseguenze negative, è obbligato a proporre una “rappresentazione”, vale a dire delle argomentazioni contrarie all’ordine, di modo che il Superiore possa riconsiderare il proprio ordine o portarlo avanti, essendo consapevole di tutte le conseguenze. La chiave, pertanto, resta nel fatto che tutti i gesuiti sono coinvolti nella ricerca della Volontà di Dio. È più difficile fare una “rappresentazione” che accettare ordini che non hanno senso; o, detto più semplicemente, è più facile lamentarsi che portare il proprio contributo.

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