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La Compagnia di Gesù e le epidemie

A distanza di un anno dai primi casi accertati di Covid 19 nel Nord Italia e poi nel resto della Penisola, la rubrica oggi racconta alcune delle epidemie con cui i gesuiti si sono confrontati in Italia durante i secoli.

I gesuiti, come sappiamo, non svolgono né oggi né in passato il loro apostolato nella clausura ma, pur abitando in comunità, vivono e operano nel mondo esterno.

Questo li ha esposti a diverse epidemie nel corso della storia, di cui a volte furono essi stessi vittima.

Nella città di Roma, ad esempio, i gesuiti hanno vissuto entrambe le famose epidemie di peste del Seicento, ed il colera che si è ripresentato ciclicamente in diversi focolai nei secoli successivi.

Alcuni gesuiti caddero anche sul campo, come nel caso di S. Luigi Gonzaga, infettatosi durante l’assistenza prestata ad un malato nelle strade di Roma e deceduto poi al Collegio Romano.

Durante il XIX secolo ci furono diverse emergenze sanitarie in tutta Europa: il vaiolo, il colera, la difterite.

Il colera a Roma scoppiò con particolare virulenza intorno al 1837. Riviviamo i difficili momenti dell’epidemia colerosa attraverso una relazione presentata dai gesuiti del Collegio Romano e conservata nel nostro archivio.

Gli autori, padri e fratelli, descrivono i primi contagi a Roma, un racconto che ricorda molto quanto avvenuto con la diffusione ed il primo scetticismo sull’epidemia di Covid – 19:

“[…] penetrava il morbo per le contrade della città e cominciava a mietere molte vite. Con tutto ciò non v’era ordine di cittadini che non facesse i più gagliardi sforzi per illudersi e darsi ad intendere che ordinarie erano in Roma quelle morti, che dalle comuni cagioni si dovevano ripetere […] poche cure si presero da’ Magistrati, niuna da cittadini a premunirsi di quegli espedienti che tanto erano necessari sì a diminuire gli effetti del micidiale contagio, sì a curare i corpi e l’anime de contagiati.

Perciò il giorno sacro a San Rocco, in cui crebbe di molto il numero degli attaccati dal morbo e in proporzione il numero delle morti, può dirsi che cogliesse i romani così fuori d’ogni aspettazione, e così sprovveduti come se qui ed allora per la prima volta il colera da asiatico fosse divenuto europeo. I medici che finora erano stati tra loro divisi, cominciarono oggi solo ad accordarsi, e a riconoscere la presenza e la furia del colera, i Magistrati a coloro che da Roma si allontanavano, cessarono di rilasciare le patenti di sanità, i cittadini costretti a uscire d’inganno caddero in un terrore e in una desolazione estrema, che gli uni agli altri con indicibile celerità si comunicarono”

Il testo prosegue raccontando la vita di quei giorni e l’assistenza alla popolazione:

“Vivemmo chiusi per molti giorni in tre diversi lazzaretti: correvamo quasi a gara di casa in casa, di famiglia in famiglia, di notte egualmente come di giorno con la confessione, col viatico, con l’estrema unzione […] poiché poi nelle famiglie povere non mancassero i provvedimenti necessari sì delle medicine e degli alimenti per gl’infermi come del pane per i sani […] andavamo provveduti di denaro somministratoci in pare dai fondi del Collegio Romano ma in copia molto maggiore dalla liberalità delle persone agiate di questa metropoli”.

Le malattie infettive erano particolarmente temute nei collegi della Compagnia di Gesù poiché bastava un solo malato per infettare tutta la comunità studentesca che non solo condivideva le aule di studio, ma anche i dormitori; inoltre il contagio poteva facilmente interessare anche la comunità religiosa del collegio.

Malattie come morbillo, varicella, difterite, rosolia potevano indurre i padri a isolare l’infermeria e talvolta rimandare a casa i ragazzi sani per allontanarli dal collegio, come avvenuto a Cremona nel 1883 quando il rettore del collegio Vida interruppe l’anno scolastico a causa della difterite.

In foto la lettera a stampa del rettore e una pagina del racconto del colera a Roma.

L’epidemia più recente che si riscontra nelle fonti d’archivio è naturalmente la febbre spagnola, di cui racconta anche p. Lorenzo Rocci.

Proprio dal diario scopriamo che in Italia durante la prima guerra mondiale, vennero presi gli stessi provvedimenti che hanno caratterizzato il periodo di quarantena in Italia nel 2020, un secolo dopo.

Rocci racconta la chiusura delle sale dei cinematografi, all’epoca molto frequentati, l’avvertimento di non uscire di casa se non per commissioni urgenti.

Attraverso questa rubrica, ricordiamo i gesuiti della Provincia Eum vittime del Covid 19, insieme ad altri gesuiti deceduti in Europa e nel resto del mondo.

                                                                                                          Maria Macchi