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Il coraggio e la generosità

Le preferenze apostoliche universali dei gesuiti

Pubblichiamo uno scambio di mail tra uno studente di quinto anno di Liceo dell’Istituto Leone XIII di Milano, volontario in ambulanza, e padre Nicola Bordogna, suo docente di religione. Lo studente, di cui omettiamo il nome per richiesta dello stesso, in questi giorni ha prestato servizio anche nella zona di Bergamo, particolarmente colpita dall’emergenza sanitaria.

Buonasera prof.,

Non sa quanto mi sia dispiaciuto mancare al nostro caffè virtuale, un momento di calma e tranquillità al quale certamente non mancherò settimana prossima.

Sono le 23:50 e sotto quella mascherina nonostante abbia superato le mie 12 ore di turno c’è ancora il sorriso di chi è riuscito a portare in ospedale le persone che ne avevano una reale necessità, lasciando a casa, ma con una parola di conforto, coloro che invece possono ancora aspettare e possono proseguire a curarsi nel proprio letto.

Purtroppo non è facile, con l’infermiere della centrale 118 valutiamo tutte le opzioni possibili, loro ci supportano, noi siamo i loro occhi, chi sta sul campo però siamo noi.

Ho ascoltato le parole di persone che avevano paura, tutti hanno paura in questa situazione, ma a Bergamo la paura si percepisce negli occhi, gli occhi di coloro che chiamano l’ambulanza dopo 15 giorni che sono a casa malati.

Mi ricorderò sempre della figlia della signora Franca che ha pianto durante tutta la mia permanenza a casa perché accidentalmente si era probabilmente rotta il femore e necessitava di tornare in ospedale dove da poco era stata dimessa per una grave polmonite; o della signora Luigina, di 74 anni, che con fermezza e orgoglio e il tipico accento bergamasco mi diceva: “Io voglio morire a casa”.

Non saprò mai la fine della loro storia perché io sono un semplice monatto, questa è la vita di chi fa il tecnico dell’emergenza sanitaria… come forse non potrò conoscere la storia del bambino che ho visto nascere…

Tutte queste esperienze mi arricchiscono e me le porterò dentro. Mantenere la calma e la lucidità è difficile, dobbiamo cercare di non farci coinvolgere, ma come si fa a non rimanere coinvolti dopo aver passato 6 ore della giornata ad aspettare davanti al pronto soccorso con il paziente nella speranza di venir accettati…

Noi abbiamo il privilegio di imparare a conoscere la persona che sta dietro alla parola paziente. Le lacrime che noi nascondiamo sono valvole di sfogo. Le missioni di soccorso vanno tutte in questa direzione nella bergamasca.

La mia paura è nei confronti della mia famiglia, il motivo per il quale mi proteggo nel modo migliore abbassando sempre di più il rischio di contaminazione. L’importante è mantenere il sorriso anche quando è difficile, perché, anche se nascosto, un sorriso è sempre fonte di sollievo.

Tra poco staccherò e andrò a dormire.

Buona notte prof!

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Caro …,

sono felice di saperti all’opera in un compito che non solo ti sta a cuore e ti appassiona, ma che è a servizio del bene di tutti noi. Le persone che soccorrete tu e i tuoi colleghi potrebbero essere mia madre o mio padre, il nonno o la nonna di qualche tuo compagno e chissà chi: quindi grazie di cuore!

D’altra parte non ti nascondo un po’ di apprensione per la tua salute, la tua incolumità: so che prendete tutte le precauzioni necessarie per voi stessi e per i vostri famigliari dai quali dovete fare ritorno.

E’ evidente che prima o poi tutto questo finirà e finirà come finiscono tutte le epidemie: lasciando tanti morti sul campo e tanti poveri e dovremo imparare tutti cosa significa ricostruire un paese o forse anche qualcosa di più.

Ecco tra quelle persone a cui è affidata questa responsabilità ci sei anche tu, e non ti nascondo che questo mi lascia tranquillo e certo che ce la faremo.

Abbi soltanto tanta, ma tanta cura di te, mi raccomando!!

Con grande stima e affetto
P. Nicola

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