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I gesuiti a Velletri: la Pasqua, la sommossa e il brigante Cencio Vendetta

Il giorno di Pasqua del 1858 segnò la fine della permanenza dei gesuiti a Velletri. Per la scomparsa del quadro della Madonna delle Grazie e la rivolta contro i padri.

Il ricordo dei gesuiti nella città di Velletri, non lontana da Roma, è ancora oggi molto forte, nonostante essi vi abbiano risieduto per pochi anni a metà Ottocento.

Qualche mese fa il circolo artistico La Pallade Veliterna ha contattato l’archivio storico volendo approfondire una vicenda che ha coinvolto i padri gesuiti a Velletri durante la Pasqua del 1858 e che l’associazione ha ricordato con una rappresentazione teatrale.

I gesuiti arrivarono a Velletri nel 1852 per occuparsi dell’educazione dei ragazzi fondando un collegio; si trattava di una piccola comunità di padri. La fondazione del Collegio fu approvata con un breve pontificio a firma di Pio IX il 7 aprile 1851, l’istituto fu ospitato nei locali del seminario.

Il giorno di Pasqua del 1858 segnò, tuttavia, la fine della permanenza dei gesuiti a Velletri.

Quel giorno i padri udirono degli schiamazzi provenienti dalla basilica attigua al Collegio. Donne e uomini di Velletri si erano radunati in chiesa in seguito alla scomparsa dell’Immagine di Maria SS. delle Grazie, sottratta – a loro parere – dagli stessi padri.

In realtà tutti erano a conoscenza del furto operato, due giorni prima, da un brigante noto con il nome di Cencio Vendetta, come testimoniano i documenti dell’epoca. Il brigante avrebbe sottratto l’immagine sacra per usarla come merce di scambio in cambio della grazia: egli infatti era stato condannato per alcuni gravi reati dallo Stato Pontificio ed era ricercato.

Gli abitanti di Velletri si erano radunati in chiesa e davanti alla residenza dei padri, chiedendo di entrare negli spazi riservati alla comunità per verificare se il quadro fosse nascosto lì, finché riuscirono a forzare una porta di collegamento tra la chiesa e la residenza.

Il rettore del collegio accompagnò di persona i cittadini a visitare la casa per dimostrare che non vi era alcuna icona nascosta. Tuttavia questo non impedì alla popolazione di riversare il proprio malcontento sui padri. Infatti, mentre era in corso questa visita di ricognizione, guidata dal rettore, all’esterno della casa iniziarono urla e insulti al grido di «Vogliamo la Madonna», «Fuori la Madonna, altrimenti guai a voi, vi ammazzeremo».

Alcuni padri furono aggrediti e minacciati all’interno della casa e uno di loro, F. Gambara, provato dalle percosse arrivò anche a chiedere, accasciato in strada, l’assoluzione dai peccati credendo la morte ormai prossima. I padri Missir e Graziani, ad esempio, furono condotti a forza sulla pubblica piazza al grido di «ammazziamoli, abbruciamoli». P. Margarucci, invece, fu minacciato da un ragazzo armato di coltello ma allo stesso tempo difeso dai concittadini che fingendosi alleati degli aggressori lo portarono in casa di alcune donne per salvarlo. In tutti questi casi si precisa che ci fu sempre chi fu pronto a fermare la mano degli aggressori in difesa dei padri: p. Missir, ad esempio, trovò rifugio in casa di alcuni fedeli.

Padre Gambara fu sottratto alla folla con un espediente da Fabrizio Vasconi e dai fratelli Collasanta portato in un’abitazione da un ortolano detto “il Rosso”. Punto di raccolta e di salvataggio dei padri fu casa Filippi, dimora dell’allora Gonfaloniere, dove oltre al F. Gambara fu condotto anche il p. Ministro, il p. Rettore e p. Severi. Lo stesso F. Gambara afferma nelle lettere che «quivi rimanemmo tranquilli e trattati con molta carità da quell’ottimo Signore Gonfaloniere. Continue erano le visite di signori e scolari che venivano a confortarci».

Dalla documentazione sembra che, fatta eccezione per l’umiliazione subita, le ripercussioni dell’episodio non ebbero risultati irreversibili: escoriazioni, lividi e graffi che lasciarono tracce solo per i giorni successivi.

Fu, per ironia della sorte, lo stesso brigante Cencio Vendetta – che secondo le carte avrebbe incontrato lungo la strada due gesuiti che quel giorno si trovavano fuori dalla residenza e che avevano trovato riparo a Galloro – a tentare di placare gli animi, salendo sull’altare armato di pugnale e arringando la folla, affermando di conoscere il luogo che ospitava il quadro e che sarebbe stato restituito presto. Questo fu effettivamente restituito il lunedì successivo a mezzogiorno.

La residenza dei padri fu saccheggiata, molte suppellettili distrutte e svuotata la dispensa.

I gesuiti, dopo la restituzione del quadro a opera del brigante, terminarono l’anno scolastico e decisero di chiudere la residenza e il collegio, lasciarono però una tavoletta votiva ai piedi dell’Immagine sacra, come ringraziamento per la salvezza ricevuta.

L’operato dei gesuiti a Velletri, non si limitò all’insegnamento scolastico, come dimostrano diversi carteggi. Il Rettore, infatti, nel 1854 – 1855, ben prima che il quadro fosse oggetto di furto, aveva intrapreso un’operazione editoriale volta a far conoscere meglio la storia artistica e miracolosa dell’icona sacra, pubblicando “La Storia della Madonna delle Grazie”, a firma di un confratello, finanziata in parte anche dalla magistratura comunale.

La cittadinanza ha dimostrato un vivo interesse per questo episodio, e per le attività del circolo artistico La Pallade Veliterna che ha allestito lo spettacolo che ricorda i fatti della Pasqua del 1858.