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Giovani in periferia per rimettere al centro l’essenziale

Le preferenze apostoliche universali dei gesuiti

Il Meg a Scutari, adolescenti e responsabili, per sostenere la nascita di tre nuove realtà giovanili.

“Siamo tornati in Albania, per ripetere l’esperienza, la missione, per confermare la fraternità” scrive p. Andrea Picciau, di ritorno da Scutari con 17 adolescenti e responsabili del MEG. Una presenza per sostenere la nascita di tre nuove realtà giovanili; la prima a Balldren nei pressi di Lesha, la seconda a Sukht vcicino Durazzo, entrambe in parrocchie diocesane. La terza presso l’Istituto Pieter Meshkalla. Un viaggio in periferia per rimettere al centro l’essenziale.

“Quello che mi ha spiazzato è la loro forza, il loro non darsi per vinti” confida Matteo di Torino “la capacità di lottare per avere un futuro migliore. L’impatto con la loro realtà mi ha fatto un po’ male. Non sono diversi da me, eppure sembra che la vita li metta costantemente alla prova. Il recente terremoto ne è un esempio. Tutto questo mi fa diventare consapevole della mia fortuna, del mio poter avere tanto… In questa periferia camminiamo su una strada molto disastrata, sorretta da travi di legno e cemento armato. Penso a come potrebbe bastare una scossa per far crollare tutto, alla loro difficoltà e a quanto siano abbandonati a loro stessi dallo Stato. Questa strada di legno cambia la prospettiva del mio viaggio, mi avvicina alla preghiera, al Signore, mi ricorda che quello che mi piacerebbe fare è aiutare l’altro, oggi e in futuro” .

“Ho trovato il Signore nello sguardo delle persone che ci hanno aperto la porta di casa, che ci hanno fatto entrare nella loro vita semplice, con il cuore in fiamme e gli occhi lucidi, sempre con il sorriso, quello di chi non ha mai perso la speranza” confida Anna di Cagliari “e poi nella loro generosità, quella di chi ha poco ma ti dà tutto., nelle persone che ci hanno raccontato il loro difficile passato, insieme alla gioia di averlo superato, in ogni sorriso, in ogni abbraccio e in ogni condivisione”.

Anita rilegge l’esperienza a qualche settimana di distanza: “penso a quanto abbia riempito di bellezza la mia vita. Nelle storie e nei sorrisi delle persone incontrate ho trovato il Signore, da cui mi ero allontanata da tempo. Un posto che non avevo mai visto prima è divenuto casa”.

“La prima cosa che impari è che le cose alle quali solitamente dai fondamentale importanza non valgono nulla” scrive Clarice da Roma “non ti migliorano, non ti sono veramente utili. L’ho capito con la visita nelle carceri e nei luoghi colpiti dal terremoto, dove c’è chi dorme in tenda, accanto alla propria casa rasa al suolo. La meraviglia di chi ha pochissimo, ma ti dà tutto, quando nel salutarli ti regalano un mandarino. Empatia, commozione, dolore: è questo che si prova. Ma anche speranza, che si fa spazio con la preghiera”.

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