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I get you, pratiche di integrazione attraverso il community building

Presentata I Get You (igetyou-jrs.org/), ricerca realizzata nell’ambito del progetto BEST (Promoting best practices to prevent racism and xenophobia toward forced migrants through community building) in 9 Paesi Europei. Capofila del progetto è il JRS Europa e i partner sono Associazione Centro Astalli (JRS Italia), JRS Belgio, JRS Germania, JRS Francia, SJ Spagna, JRS Malta, SJ Polonia, JRS Portogallo, JRS Romania.

L’indagine ha mappato complessivamente 315 iniziative di community building: 62 in Italia, 55 in Francia, 50 in Germania, 37 in Belgio, 31 in Spagna, 31 in Portogallo, 20 a Malta, 15 in Romania e 14 in Croazia. E’ stata presentata martedì 12 dicembre alla Città dell’Utopia, che è  una delle esperienze mappate nella ricerca.

 “La sfida dell’accoglienza e dell’integrazione è una questione molto dibattuta, che contribuisce a dividere l’opinione pubblica” dichiara padre Camillo Ripamonti,  presidente Centro Astalli. “La ricerca ha mostrato che l’accoglienza funziona meglio quando è organizzata in piccoli centri e le strutture non sono isolate, ma ben collegate o ancor meglio all’interno delle aree urbane. Ciò consente alla società civile di interagire direttamente con i migranti. La creazione di relazioni personali è il modo migliore per prevenire l’ostilità e la diffidenza e, allo stesso tempo, agevola un’integrazione più veloce ed efficace”.

 

video dei progetti mappati in 9 paesi europei


Di seguito una sintesi dell’indagine

Il progetto

Il progetto BEST (Promoting best practices to prevent racism and xenophobia toward forced migrants through community building), nell’ambito del quale è stata realizzata da ricerca I Get You, è stato realizzato per 24 mesi in 9 Paesi Europei. Capofila del progetto è il JRS Europa e i partner sono Associazione Centro Astalli (JRS Italia), JRS Belgio, JRS Germania, JRS Francia, SJ Spagna, JRS Malta, SJ Polonia, JRS Portogallo, JRS Romania. La prima fase della ricerca, la mappatura delle buone pratiche, si è conclusa alla fine di luglio 2016. Attraverso il sito del progetto (www.igetyou-jrs.org) e i canali social è stato lanciato un invito a compilare un questionario online, contenente una descrizione sintetica e le principali caratteristiche di ciascuna iniziativa che potesse apparire rilevante rispetto all’ambito della ricerca. La seconda fase della ricerca ha previsto in ciascun Paese un’analisi qualitativa di un campione rappresentativo delle pratiche mappate. Nei mesi in cui la mappatura veniva realizzata, il capofila ha coinvolto un panel di 10 esperti di diverse nazionalità al fine di stabilire i criteri di valutazione da adottare per l’analisi qualitativa delle pratiche. Sulla base dei criteri e degli indicatori determinati dagli esperti, lo steering committee del progetto (composto dai referenti di tutti i partner di progetto) ha elaborato i questionari da utilizzare per l’analisi qualitativa vera e propria. Tra gennaio e marzo 2017, ciascuno dei partner ha individuato un campione significativo e rappresentativo dello scenario nazionale del Paese in cui opera e ha realizzato un minimo di tre interviste qualitative per ciascuna delle iniziative selezionate, allo scopo di raccogliere gli elementi utili a darne una valutazione secondo i parametri forniti dagli esperti. I parametri individuati non avevano tutti lo stesso valore nella valutazione: gli esperti ne hanno anche determinato l’incidenza percentuale rispetto alla valutazione complessiva.

 

Risultati della mappatura

In Europa

Nei 9 Paesi in cui è stato realizzato il progetto sono state mappate complessivamente 315 iniziative di community building: 62 in Italia, 55 in Francia, 50 in Germania, 37 in Belgio, 31 in Spagna, 31 in Portogallo, 20 a Malta, 15 in Romania e 14 in Croazia.

La maggioranza di esse sono di piccole dimensioni, ma hanno comunque un impatto significativo nella prevenzione del razzismo e della xenofobia. I partecipanti sono per lo più adulti in età lavorativa, sia migranti che locali. I principali paesi di provenienza dei migranti coinvolti in iniziative di community building sono Siria, Afghanistan, Iraq, Pakistan, Nigeria, Somalia, Sudan, Gambia e Mali. Il 55% dei migranti forzati coinvolti nelle iniziative di community building mappate vivono in Europa da più di un anno.

Il finanziamento pubblico più rilevante delle iniziative di community building mappate è stato registrato il Romania (53%), Portogallo (39%) e Croazia (36%). In Germania, Francia, Spagna e Italia più del 50% delle iniziative sono finanziate dalla società civile.

In Italia

La mappatura ha descritto 62 iniziative, distribuite territorialmente su tutto il territorio nazionale: 25 al nord, 28 al centro e 9 al sud. La maggior parte di esse (53) hanno portata locale, 7 fanno invece parte di un’iniziativa più ampia a carattere nazionale e 2 operano in una dimensione regionale. 41 iniziative su 62 svolgono le attività con meno di 25.000 euro l’anno. Non mancano tuttavia iniziative più ampie e strutturate e 8 dichiarano un budget annuo superiore a 100.000 euro.

I fondi per il funzionamento provengono da finanziamenti privati, da fundraising e raccolta fondi gestita dai volontari ma in 15 casi le iniziative ricevono sostegno parziale e totale da fondi pubblici, soprattutto legati ai progetti di accoglienza del sistema SPRAR.

Il numero di beneficiari per ciascuna iniziativa è molto variabile, ma la maggior parte dei migranti coinvolti sono richiedenti o titolari di protezione internazionale. Per la maggior parte si tratta di persone giovani, nella fascia di età 19-25 anni. Le nazionalità maggiormente rappresentate sono il Mali (nel 69,4% delle iniziative), la Nigeria (67,7%), il Gambia (61,3%), il Pakistan e l’Afghanistan (48,4%) e l’Eritrea (38,7%). Queste provenienze sono del tutto coerenti con le principali nazionalità dei richiedenti asilo in Italia negli ultimi 3 anni. Coerente con il dato delle richieste di asilo è anche la prevalenza di adulti singoli tra i partecipanti alle attività, a fronte di relativamente pochi nuclei familiari. Nel 69% delle iniziative mappate i migranti sono persone arrivate in Italia da più di un anno e sono solo 4 le iniziative frequentate regolarmente da migranti arrivati da meno di 6 mesi.

Il 37% delle iniziative mappate hanno descritto come propria azione principale l’organizzazione di “attività interculturali”. 12  iniziative (19%) riguardano esperienze di convivenza/accoglienza, in modalità estremamente varia: in famiglia, in parrocchia, in istituti religiosi, in appartamenti indipendenti, in strutture dedicate. Tutte queste iniziative si potrebbero descrivere come esperienze di accoglienza diffusa, volta a facilitare la creazione di relazioni positive con il territorio. 7 iniziative sono infine incentrate su attività volte a facilitare l’inserimento lavorativo e l’acquisizione di competenze professionali. Un numero significativo delle iniziative (12) è in collegamento più o meno diretto con progetti di accoglienza SPRAR e, in misura minore, con i Centri di Accoglienza Straordinaria – CAS.

Risultati della ricerca qualitativa in Italia

La creazione di iniziative di community building è legata alla presenza dei rifugiati nelle comunità locali. Negli ultimi 3 anni in Italia il numero di territori coinvolti nell’accoglienza dei migranti forzati è cresciuto, poiché nel momento in cui le persone arrivano nei porti del Sud, vengono smistati e i richiedenti asilo vengono distribuiti in tutte le regioni italiane. La sfida dell’accoglienza e dell’integrazione è una questione molto dibattuta, che contribuisce a dividere l’opinione pubblica.

La ricerca di I Get You ha mostrato che l’accoglienza funziona meglio quando è organizzata in piccoli centri e le strutture non sono isolate, ma ben collegate o ancor meglio all’interno delle aree urbane. Ciò consente alla società civile di interagire direttamente con i migranti. La creazione di relazioni personali è il modo migliore per prevenire l’ostilità e la diffidenza e, allo stesso tempo, agevola un’integrazione più veloce ed efficace. Le strutture e i metodi del sistema SPRAR contribuiscono certamente a creare le condizioni per incontri positivi, come provano le sinergie esistenti tra molte delle iniziative di community building mappati e i progetti di accoglienza del sistema SPRAR. Un elemento chiave per la riuscita di molte iniziative di community building è la disponibilità di uno spazio per l’incontro che sia diverso dalle strutture di accoglienza ed sia aperto anche alla popolazione locale. Le esperienze di maggior successo dimostrano che avere un luogo di incontro dove tutti i partecipanti si sentono “a casa” è importante per la partecipazione e il coinvolgimento.

Molte iniziative di community building non si rivolgono esclusivamente ai migranti forzati. Esse mirano piuttosto a rafforzare i legami sociali, per rendere le comunità più inclusive in generale. Molti altri gruppi sociali affrontano isolamento, discriminazione e sfide di diversi tipi. Alcune iniziative di community building si occupano di altri gruppi vulnerabili (come le persone senza fissa dimora, le persone con disabilità e gli anziani), ma altri lavorano per creare un contesto accogliente per tutte le persone che vogliono sentirsi utili e creare collegamenti sociali nei loro quartieri. Accorgersi che le persone “mi salutano quando ci incontriamo per la strada” è un tema ricorrente in molte interviste di migranti, che vedono in questo un importante valore aggiunto di molte attività delle iniziative di community building e anche il primo segnale di un percorso di integrazione davvero in atto. Questo riconoscimento reciproco quotidiano è ovviamente particolarmente per un nuovo arrivato, ma è gratificante anche per altri membri della comunità, come ad esempio gli anziani che vivono da soli, gli studenti che studiano lontano da casa e professionisti che trascorrono la maggior parte del loro tempo a lavoro.

Soprattutto quando le iniziative di community building offrono attività con un elemento di servizio, come la formazione professionale, il sostegno psico-sociale e le lezioni di lingua, è importante dedicare abbastanza tempo e risorse per formare i volontari e fornire la necessaria supervisione. È altrettanto importante costruire relazioni di collaborazione efficaci e sostenibili con i fornitori dei servizi, pubblici e privati, e anche darsi l’obiettivo di collaborare con i servizi esistenti anziché duplicarli.

Un ultimo elemento che appare particolarmente rilevante per la prevenzione della xenofobia e in particolare dell’islamofobia, che cresce in modo allarmante nel nostro Paese, è quello del dialogo interreligioso, presente in diverse iniziative di community building. Nella maggior parte dei casi questo elemento è in qualche modo implicito, un “effetto collaterale” della conoscenza reciproca e amicizia con i migranti forzati che sono, in molti casi, musulmani.

 

video di uno dei progetti italiani mappati


 

 

 

 

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