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Galloro.Giovani padri e fratelli alle prese con la mediazione dei conflitti

L’annuale incontro dei giovani padri e fratelli che si è svolto a Galloro dal 26 al 31 agosto ha avuto come filo conduttore il tema della mediazione dei conflitti. Quella del conflitto è un’esperienza che tocca tutti da vicino perché è una componente sempre presente nelle relazioni umane. E’ un’esperienza che interpella e mette in crisi: ognuno tende a viverla con fatica e disagio evitandola, diventando aggressivo o subendola. La giornata iniziale si è aperta con alcuni spunti di riflessione sulla possibile mediazione proposti da p. Guido Bertagna, Claudia Mazzucato e Leonardo Lenzi che lavorano nell’ambito della giustizia riparativa. Si tratta di un modello di giustizia alternativo a quello retributivo, largamente prevalente, non solo nel nostro Paese (modello reo-centrico, dove cioè la soddisfazione della vittima è legata alla punizione del reo). La Giustizia Riparativa (Restorative Justice) è così definita in un documento del 2002 dall’ONU: “Ogni procedimento nel quale la vittima e il reo e, se opportuno, ogni altro individuo o membro della comunità, leso da un reato, partecipano insieme attivamente alla risoluzione delle questioni sorte con l’illecito penale, generalmente con l’auto di un facilitatore”. Percorsi di Giustizia Riparativa sono stati sperimentati in vari paesi, con particolare successo  a livello istituzionale in Sud Africa quando è stato abolito l’Apartheid (con l’istituzione di una Commissione per la Verità e la Riconciliazione). La peculiarità della giustizia riparativa sta nel considerare la mediazione come occasione per la vittima e per l’aggressore di incontrarsi per narrare la vicenda comune a partire dalla propria storia, per permettere all’altro di conoscere la posizione altrui. La mediazione concepita in questo modo ha il compito di favorire processi di comunicazione da cui, forse, possono scaturire cammini di perdono, di solidarietà o semplicemente di avvicinamento. Nei giorni successivi, i giovani padri e fratelli presenti (erano circa 25) sono stati invitati a condividere fraternamente i conflitti che hanno vissuto nell’ultimo anno. Si è creato subito un clima di ascolto e attenzione reciproca, da cui è emerso il desiderio comune di vivere i conflitti come un’occasione preziosa per conoscere meglio se stessi e gli altri confratelli. E’ aumentata la consapevolezza di come il conflitto nasca non tanto dal fatto che ognuno ha idee o visioni proprie, ma perchè non ci si prende il tempo per raccontarle agli altri o non si ritiene opportuno farlo. Si generano così quei “non detti” che alimentano poi lamentele, giudizi e incomprensioni. Fino ad arrivare al conflitto. E’ emerso anche un dato interessante: le comunità religiose, in particolare, sono spesso esposte all’evitamento dei conflitti per il “quieto vivere” o perché erroneamente si pensa che essere cristiani significhi passare sopra al proprio sentire in virtù di uno sforzo volontaristico  di andare incontro all’altro. Una cosa è certa: non esiste una ricetta per risolvere il conflitto. Oggi si riconosce piuttosto l’importanza di attraversarlo perché il passarci in mezzo ne modifica la percezione e quindi l’atteggiamento assunto.

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