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Dopo sette anni, la Siria ha ancora bisogno di pace

Il JRS chiede che le parti in causa pongano fine alla guerra e alla morte di civili innocenti; la comunità internazionale si faccia carico di comune accordo del sostegno dei rifugiati siriani che vivono nei paesi ospitanti; sia garantito a tutti i bambini siriani l’accesso a un’istruzione di qualità; i paesi dell’UE e altri paesi occidentali incrementino le rispettive quote di reinsediamento e accelerino le procedure; i paesi dell’UE e altri paesi occidentali assicurino ulteriori corridoi sicuri e legali a quanti fuggono da persecuzione e conflitti, quali visti umanitari, visti di ricongiungimento familiare, e visti per motivi di studio e apprendistato.

Beirut. “Fermatevi. È l’unico messaggio che mi sento di inviare”, dice un volontario che lavora in Libano con il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (JRS). Il conflitto siriano sta entrando nel suo ottavo anno, e la popolazione continua a soffrire. È quasi impossibile descrivere a parole quello che sta succedendo e come si sente la gente, eppure mai come ora bisogna parlarne.

Ultimamente Papa Francesco ha messo in risalto come gli ultimi mesi siano stati tra i periodi più violenti dell’intero conflitto. “Tutto questo è disumano. Non si può combattere il male con altro male”, sono le sue parole.

Proprio nel momento in cui il popolo siriano ha più bisogno di pace, la situazione è fortemente instabile.

Damasco è sotto tiro, tutto intorno piovono bombe di mortaio, e le vittime si contano a centinaia. La situazione sul posto è ad altissimo rischio: così la descrive un membro dello staff del JRS “la morte scende dal cielo a casaccio…e non possiamo fare nulla per fermarla”. Di recente sono state trascinate nel conflitto altre zone della Siria. Dal distretto di Afrin, che già ospitava un numero enorme di sfollati, la gente fugge a migliaia senza avere dove andare. Nel Ghouta orientale centinaia di migliaia di persone sono intrappolate sotto i bombardamenti.

Dopo lunghi anni di conflitto, le condizioni di vita sono molto difficili, con il costo delle abitazioni a livelli esorbitanti, i tassi di disoccupazione elevatissimi, e scarso accesso a servizi essenziali come l’assistenza sanitaria e la scuola.

I confini rimangono chiusi: lasciare la Siria è difficilissimo, e molte famiglie sono state divise, distribuendosi in diversi paesi. È il caso di Fatima che vive nel Libano con le figlie, mentre i figli maschi vivono nel Ghouta orientale. Questi ultimi, a causa delle violenze in corso, per ben 15 giorni sono rimasti bloccati nelle loro case. Fatima è sempre stata ottimista, ma ora ha perso il sorriso e non fa che piangere.

Simile è il caso di Amira, che vive a Bourj Hammoud in un monocamera non ammobiliato, che ha preso in affitto per 325 dollari al mese. Il marito vive in Germania, e lei vuole raggiungerlo con i figli, perché non riescono a sostenere il costo della vita così alto in Libano.

Con un milione e mezzo di rifugiati siriani nel paese, il Libano ha la presenza più elevata pro capite di rifugiati del mondo. Il 76% di essi vive al di sotto della soglia di povertà, e più della metà sono bambini.

Amira è così disperata che a volte vorrebbe imbarcarsi per l’Europa, ma non vuole mettere a rischio la vita dei figli. Più di un anno fa ha ricevuto una chiamata da parte dell’UNHCR a conferma che la sua domanda di reinsediamento era stata accolta: aspetta sempre ancora di sapere dov’è destinata. Le procedure sono lunghe e laboriose, inoltre soltanto i rifugiati registrati hanno diritto al reinsediamento e purtroppo circa il 70% di quelli siriani presenti in Libano non lo sono.

Il Governo libanese ha compiuto uno sforzo enorme, ma le sue possibilità sono limitate. A sette anni dall’esplosione del conflitto, il numero di rifugiati in costante espansione pone innumerevoli difficoltà sia per quanto riguarda le infrastrutture, che all’economia del paese. Il Libano non può farsi carico di un tale onere da solo. La comunità internazionale non deve girare le spalle di fronte a una situazione che esige un approccio globale.

Il conflitto siriano non è assimilabile né a una rivoluzione né a una guerra civile, tenuto conto che in Siria sono in gioco cittadini di decine di paesi diversi che si uccidono a vicenda. È un vero caos. Le vittime sono siriani innocenti; siriani sono quelli che muoiono, e siriani sono quelli che scappano. Dobbiamo ascoltare le loro voci.

L’unica soluzione a questa situazione è di smettere di guardare alla Siria con indifferenza, ed esigere la pace. È nostro preciso dovere.

Il JRS chiede che:

• Le parti in causa pongano fine alla guerra e alla morte di civili innocenti.

• La comunità internazionale si faccia carico di comune accordo del sostegno dei rifugiati siriani che vivono nei paesi ospitanti. Ai rifugiati siriani presenti nei paesi confinanti vanno assicurate sicurezza e condizioni di vita dignitose.

• Sia garantito a tutti i bambini siriani l’accesso a un’istruzione di qualità (in particolare l’accesso a quella di secondo livello).

• Nel contesto della prevista condivisione delle responsabilità, i paesi dell’UE e altri paesi occidentali incrementino le rispettive quote di reinsediamento e accelerino le procedure.

• I paesi dell’UE e altri paesi occidentali assicurino ulteriori corridoi sicuri e legali a quanti fuggono da persecuzione e conflitti, quali visti umanitari, visti di ricongiungimento familiare, e visti per motivi di studio e apprendistato.

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