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Don Milani e l’esame di coscienza della Chiesa

In un convegno l’eredità del priore di Barbiana a cinquant’anni dalla morte.

Capire la figura di don Milani oggi, a cinquant’anni dalla sua morte. È stato il tema al centro di una tavola rotonda che si è tenuta alla Facoltà Teologica della Sardegna, a Cagliari, martedì 20 giugno 2017. “Don Milani”, ha detto nei suoi saluti iniziali padre Francesco Maceri sj, preside della Facoltà, “difficilmente lascia indifferenti”. Ma, seguendo il recente invito di papa Francesco, “occorre guardare in lui la vita, le opere, il sacerdozio”. Da queste parole, “è evidente che il papa desidera che non sia dimenticata l’identità profonda di don Milani, il suo rapporto con Cristo, costruito e cementato sul sacerdozio ministeriale”. Infatti, ha detto ancora padre Maceri, “don Milani era ben consapevole che l’amore è da Dio, il quale ci ha amati per primo”.

Nell’intento di collocare la figura del prete di Barbiana in un contesto storico più ampio, relativo alla Chiesa di Firenze di quegli anni, il giornalista Bruno Terlizzo è intervenuto successivamente proprio sul tema “La Chiesa al tempo di don Milani”. “Don Milani”, ha detto, “va capito anche all’interno di un periodo particolare che segna la Chiesa fiorentina a partire dagli anni ’50. È questo un tempo in cui figure come Giorgio La Pira, don Enzo Mazzi della comunità dell’Isolotto, padre Ernesto Balducci, don Giulio Facibeni, don Raffaele Bensi, Davide Maria Turoldo, don Bruno Borghi, padre Giovanni Vannucci, solo per nominarne alcuni, furono calamita e lievito della città di Firenze”. Alcune gerarchie ecclesiastiche, secondo Terlizzo, temevano figure di questo tipo, le quali risultavano destabilizzanti in un periodo di particolare insicurezza da parte della Chiesa: “A un certo punto, una parte della Chiesa italiana, con legittima preoccupazione, teme di perdere l’identità: un’identità costruita nei secoli su una cultura contadina. Quando questa cultura regredisce perché negli anni dello sviluppo economico si modifica tutta la base sociale, la Chiesa si trova spiazzata. Qui intervengono i cosiddetti ‘profeti disarmati’ che ho nominato prima”. “Ma qual era il problema?”, ha insistito Terlizzo. “Il problema era la ‘convergenza’. La cultura del convergere: di operai e contadini, di cattolici e comunisti, che a Firenze era più sviluppata che altrove. Tutto ciò metteva paura e non sempre si sapeva come affrontarlo”.

Nel secondo intervento della serata, dedicato alla pedagogia di don Milani, don felice Nuvoli, docente di filosofia e pedagogia alla Facoltà Teologica della Sardegna e all’Università di Cagliari, ha cercato di collocare la figura del priore di Barbiana al di fuori di qualunque etichetta politica. “Egli stesso”, ha detto Nuvoli, “prese le distanze sia dalla sinistra marxista sia dalla Democrazia cristiana e, certamente, dal mondo liberale”. “In don Milani non si può staccare la figura del prete dall’uomo. Egli sa che la fede non è qualcosa di artigianale aggiunto alla vita. Senza capire questo è facile assegnare don Milani a questa o a quella parte. A dirla tutta, fu osteggiato proprio per voler rimanere al di sopra delle contrapposizioni ideologiche, mentre non gli viene riconosciuta l’utopia di un’idea di Chiesa che vuole arrivare a tutti. Per tanti versi è stato strumentalizzato, ma don Milani sfugge, non sta in una parte”. “L’eredità di don Milani”, ha continuato Nuvoli, “è essenzialmente incentrata sull’amore agli ultimi. La sua è una pedagogia dell’aderenza ai fatti. Don Milani non ha mai creduto all’amore universale come concetto astratto. Una sua idea precisa era che per educare tutti gli uomini occorre educare un uomo per volta”. “Sono tante le idee pedagogiche importanti”, ha concluso don Nuvoli, “che si possono trarre da don Milani, a partire da quella del ‘mutuo insegnamento’, laddove la parola di un compagno spesso risalta più di quella del docente, ma vi è un punto essenziale che è quello della libertà. La libertà, per lui, significava ‘dominio di sé’: tanto che acquistare la propria libertà, nella sua concezione, significava in prima battuta ‘donarla’, donarla agli altri”.

Nelle sue conclusioni finali, monsignor Arrigo Miglio, arcivescovo di Cagliari, si è voluto soffermare in breve sulla contemporanea visita di papa Francesco alla tomba di don Milani. Il papa ha riconosciuto nella vita del priore di Barbiana, come detto testualmente da Bergoglio, “un modo esemplare di servire il Vangelo, i poveri e la Chiesa stessa”, ma tutto ciò all’interno della Chiesa, del sacerdozio e della “forza della fede”. Per monsignor Miglio questo incontro tra il pontefice e don Milani è anche un’occasione “per fare un esame di coscienza come Chiesa e chiederci ‘chi siamo?’ e ‘che cosa facciamo?’”.

L’evento è stato promosso dall’UCSI (Unione cattolica stampa italiana), dalla Diocesi di Cagliari (ufficio comunicazioni sociali), dall’ACI (Azione cattolica italiana) e dal MEIC (Movimento ecclesiale impegno culturale).

 

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