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Centro Astalli, quando la mensa diventa casa accogliente

Inaugurati i nuovi locali della mensa di via degli Astalli 14a alla presenza di monsignor Angelo De Donatis, vicario generale del Papa per la diocesi di Roma; del dott. Luigi Abete, presidente BNL, e di p. Camillo Ripamonti, presidente Centro Astalli.

La mensa del Centro Astalli, storicamente il cuore dell’associazione, per molti rifugiati è il primo approdo una volta giunti a Roma. La ristrutturazione, resa possibile grazie al contributo di BNP Paribas e al sostegno di Fondazione BNL, ha visto l’ampliamento dello spazio dedicato al centro d’ascolto e agli uffici amministrativi, l’aumento del numero delle docce e la ridistribuzione dei locali dedicati alla consumazione dei pasti. Migliorato anche lo spazio in cui i rifugiati musulmani (che rappresentano circa il 75% degli utenti) possono raccogliersi in preghiera.

Nel suo saluto padre Camillo Ripamonti ha dichiarato che “sempre più questo luogo – e ci tengo a sottolineare la parola luogo, rispetto ai tanti non luoghi che alienano le persone-,  è diventato casa per tante persone, forse quasi un milione (o più) in più di trent’anni. Forse non lo comprendiamo fino in fondo: un luogo che diviene casa con quello che questa parola vuole dire in termine di legami, affetti e fiducia; un luogo che diviene casa per chi ha dovuto abbandonarla. Dimentichiamo per un momento il motivo per cui questa persona lo ha fatto e proviamo a immaginare la portata dirompente di questo passaggio esistenziale nella vita di un migrante specie se forzato. Un luogo nel cuore della nostra città, un luogo semplice, poco visibile e sottoterra diviene casa per una persona straniera. È un seme di futuro questo messo dentro di lei, di lui, ma direi di tutti noi. E allora prende corpo un’immagine: quella del seme che dà frutto”.

Una conferma è venuta dalle parole di Sussy, rifugiata dal Congo, che ha portato la sua testimonianza: “La mia prima casa in Italia è questo posto. Qui ci sono i miei amici, il mio medico, il mio avvocato. Qui sai che entrando trovi sempre qualcuno che ti chiede come stai e ti sorride. Vivo da sola in Italia, le difficoltà sono enormi. Ma ho imparato che la casa non è fatta di mura ma è fatta di persone che ti stringono la mano, ti sorridono e ti riconoscono. Ecco ho capito che per un rifugiato in un paese straniero la cosa più importate è sapere che c’è qualcuno che ti conosce e ti riconosce. A mensa capisci che non sei invisibile, che puoi farcela, e soprattutto che le donne vengono prima degli uomini”.

 

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