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In dialogo con Lutero, un incontro alla Facoltà Teologica

In occasione dei 500 anni dalla Riforma protestante, venerdì 10 marzo 2017, nell’aula magna della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, a Cagliari, si è tenuta una tavola rotonda dal titolo: “Fede e salvezza. In dialogo con Lutero”. All’evento, organizzato dalla Facoltà Teologica e dalla Chiesa Evangelica Battista di Cagliari, e coordinato da don Lucio Casula, docente ordinario di Teologia dogmatica alla Facoltà Teologica, hanno partecipato l’arcivescovo di Cagliari, mons. Arrigo Miglio, la pastora della Chiesa Evangelica Battista di Cagliari, Elizabeth Green, e diversi docenti della facoltà e rappresentanti delle due chiese, a suggellare una collaborazione e un ascolto reciproco che dura ormai da anni.

L’idea che il “dialogo” fosse anzitutto improntato all’ascolto è stata espressa da padre Francesco Maceri, gesuita, preside della Facoltà Teologica, all’inizio dell’incontro stesso: “Come dice papa Francesco ‘saper ascoltare è una grazia immensa’, il che implica il desiderio di capire, e di aprire il proprio cuore con benevolenza. Nell’ascolto si consuma il sacrificio di se stessi”.
Nel suo intervento, il professor Sergio Rostagno, della Facoltà Valdese di Teologia di Roma, ha tenuto a sottolineare come l’essenza del pensiero di Lutero fosse riconducibile a tre elementi: il fondamento del soggetto nella certezza della fede, l’azione di questo nell’urgenza della carità e la sua perseveranza nel tempo della speranza. Il progetto di Lutero, per il professor Rostagno, consiste nella “elaborazione di una teoria della fede autonoma da ogni teoria religiosa”. In tal senso, “egli mira alla fondazione del soggetto nella libertà. E la grazia, in questo, risulta assolutamente essenziale poiché diviene ‘fondamento’ del soggetto e non ‘proprietà’ del soggetto”. In tutto ciò, secondo Rostagno, risuona decisivo l’eco di un autore quale fu Pseudo-Dionigi l’Areopagita che così tanto ha influenzato il mondo protestante e non solo quello: a Dionigi è riferibile l’idea dell’“oscurità dell’intimità”, “idea di enorme successo della mistica e un tema che Lutero percepisce subito”. Sulla scia delle idee dello Pseudo-Dionigi, ha detto ancora Rostagno, “Lutero insiste sul fatto la verità risieda nella libera interiorità del soggetto. Ma quello che la Riforma protestante sottolinea ancora di più è che la grazia non è una seconda chance offerta all’uomo dopo il peccato, non è una ‘via alternativa’, ma è Adamo stesso che è strappato via dal peccato (II tesi)”. E ha proseguito: “È il tema del cosiddetto ‘quarto modo’, quello che nella logica medievale attiene assolutamente al soggetto. La grazia mostra all’essere umano un’altra strada rispetto a quella di Adamo ed Eva”. “Tutto ciò non è lontano dalle posizioni di Tommaso”, ha notato il professor Rostagno, “nella sua distinzione tra grazia operante e grazia cooperante: il primo atto della salvezza avviene ex nihilo e non ex meritis, dice Tommaso. E questo è lo stesso che dice Lutero. Anche se l’argomentazione di Tommaso procede poi verso uno sbocco diverso”. Per tal motivo la tesi XVI, su cui Rostagno si è soffermato, mostra due aspetti cruciali: da un lato, l’essere peccatori sottolinea la grazia di Dio, ma dall’altro “noi siamo anche vindex iniquitatis, per cui alla fede segue una trattazione della carità. La critica che Lutero fa delle opere non significa uno svilimento di esse: la fede non è inerte e oziosa. Basta che non si intendano le opere come continuazione dell’Opera di Gesù Cristo”. “Chi giudica, in fondo, se la mia opera è caritas? È il prossimo”. In conclusione del suo intervento, il professor Rostagno ha osservato come in fondo “Lutero si batte contro la confusione tra azione dell’uomo e azione di Dio, quando tale percorso si presenta come un’imposizione di un apparato clericale. Con Lutero si può affermare: ‘Chiudi gli occhi nella fede, apri gli occhi sull’agape. Astieniti dal fare dove solo Dio può operare e datti da fare ampiamente nella prospettiva di quello che tu puoi fare. E resta nella fede che ti dà Cristo’”.
Nel suo successivo intervento di risposta e dialogo, don Mario Farci, docente ordinario di Teologia dogmatica alla Facoltà Teologica della Sardegna, ha sottolineato la complessità del pensiero luterano: complessità aumentata dal fatto che molto spesso nei secoli “si è letto Lutero con gli occhi di alcuni suoi commentatori, più che in riferimento ai suoi scritti. Ma oggi, grazie alla teologia del ‘900, siamo in grado di adottare un’ermeneutica più appropriata”. Sono due le tappe fondamentali, secondo il professor Farci, che oggi ci permettono di inquadrare meglio la questione: un riesame attento del Concilio di Trento e la più recente “Dichiarazione congiunta sulla giustificazione”. Nel decreto sulla giustificazione del Concilio di Trento, Gesù, inteso come “secondo Adamo”, “non solo è remissione dei peccati, ma anche santificazione e rinnovamento dell’uomo interiore, attraverso l’accettazione volontaria della grazia e dei doni”. L’uomo, pertanto, è “fatto nuovo”: da ingiusto a giusto. “La grazia”, ha osservato il professor Farci nella sua analisi relativa al Concilio del 1547, e in particolare al capitolo VIII che rilegge la famosa espressione di Paolo sulla giustificazione per fede (Rm 3, 24-28) “precede sia la fede sia le opere. Ancora una volta si insiste sul fondamento cristologico: è Cristo che rende meritorie le opere umane”. Allo stesso tempo, “si introduce un elemento di discontinuità: la cooperazione dell’uomo”. “Le opere”, ha proseguito, “non sono sempre corrotte, ma costituiscono il modo con cui l’uomo ‘coopera’ alla propria salvezza”. Per mezzo di una simile “cooperazione”, quindi, “gli uomini vengono resi sempre più giusti”. “Vi è dunque”, ha concluso Farci, “non solo un influsso della fede sulla carità, ma anche viceversa, della carità sulla fede”. In questo senso, la Dichiarazione congiunta sulla giustificazione del 1999, ad Augusta, ha rappresentato un punto decisivo di incontro tra protestanti e cattolici, soprattutto nel “risolvere” il contenzioso classico, espresso dalla antica formula sola fides, che tradizionalmente esprimeva la posizione luterana andando a discapito delle opere, la quale viene ora superata da una concezione più ampia: “La salvezza avviene soltanto per opera della grazia” (Dichiarazione congiunta, n. 19). Tutto questo lascia peraltro aperti una serie di interrogativi, ha detto Farci, “sui quali è necessario lavorare insieme”: “L’uomo coopera alla salvezza?”. E “che tipo di relazione è quella tra fede e carità? Cioè: la carità gioca un ruolo in ordine alla salvezza?”.
Il dialogo intavolato ha mostrato una serie di punti di convergenza (“alcune di queste tesi di Trento”, ha detto Rostagno, “sono le stesse che si trovano nei catechismi protestanti”). “Il Concilio di Trento in effetti, ha aggiunto il docente della Facoltà Valdese, “non condanna Lutero come persona e di fatto non lo nomina. Tutta questa discussione che era all’inizio una discussione teologica, interessante per capire la modernità, è diventata una polemica spesso di altro tipo”. “Io penso”, ha concluso Rostagno, “che questi 500 anni sono anche un periodo che si sta chiudendo. E quello che abbiamo davanti ai nostri occhi siano nuove vie da percorrere”. (red)

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