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Bologna.Pasqua all’insegna di Pier della Francesca

Da mercoledì 20 a domenica 24 aprile una ventina di ragazzi provenienti da varie città hanno partecipato al triduo pasquale a Montauto d’Anghiari accompagnati da P. Stefano Titta SJ alla scoperta del fascino più nascosto di alcune opere del grande Piero della Francesca, nativo di Sansepolcro, paese a pochi chilometri da Anghiari.
Qui di seguito riportiamo le testimonianze di due ragazzi che hanno partecipato all’evento.

[Beatrice] – Il luogo che ci ha ospitati è un meraviglioso convento francescano del XVI secolo immerso nelle colline aretine, abitato dalle Suore del Cenacolo di carisma ignaziano.
Il primo giorno ci siamo recati nel centro di Arezzo per contemplare il ciclo di affreschi sulla Leggenda della Vera Croce; la mattina del sabato santo la sveglia è suonata prima dell’alba per partire in pellegrinaggio verso Monterchi, il luogo in cui è conservata la celebre “Madonna del Parto”.
Lo sguardo di Maria, al pari di quello di molti personaggi santi nei dipinti di Piero della Francesca, è misterioso, e ti fa sorgere domande sulla natura del suo stato d’animo.
Il capolavoro, per quanto riguarda il mio gusto personale, ci è stato rivelato la mattina di Pasqua: mi riferisco all’affresco della Resurrezione.
Lo sguardo magnetico di Gesù non ti fa distogliere gli occhi da Lui, ed è successo proprio così dopo il commento di P. Stefano… siamo rimasti tutti fermi continuando a contemplare la Buona Notizia: più indugiavo sull’affresco più coglievo qualcosa di nuovo che finiva con il ricondurmi al volto di Gesù, uno sguardo difficile anch’esso da commentare. Uno sguardo indecifrabile, che cerca il tuo.
Il dettaglio di quest’opera che più si è impresso nella mia memoria è stato il soffio di vento che muove dolcemente il vessillo della croce: le rigide regole della prospettiva, la posizione salda decisa del corpo Gesù, i suoi occhi fissi su di te, il vessillo della Croce ben piantato a terra, l’evidente verità di colui che è risorto dalla morte e appare a noi mentre esce dal sepolcro, questa “solidità” si fonde, senza però con-fondersi, con la brezza del vento, del transitorio, dell’effimero che appartiene alla nostra umanità e che conferisce il senso di profondità spaziale di questo affresco.
Il pennello di Piero, come ha detto uno di noi durante la messa di condivisione finale, davvero sta continuando a dipingere e a guidare lo sguardo di chi, ieri e oggi, ammira i suoi affreschi.

[Manuel] – Entrare nella Pasqua di Cristo, desiderare celebrarla non da spettatori.
A questo mi ha aiutato la Pasqua in Toscana di quest’anno. Riassumo l’esperienza grazie a qualche parola chiave. Anzitutto fraternità, sperimentata nel conoscere persone provenienti da diverse parti d’Italia. È sempre bello, dopo la timidezza del primo giorno, conoscere compagni con cui condividere, oltre ai momenti scherzosi, le domande che ci portiamo dentro.
Poi arte, accompagnati dagli affreschi di Piero della Francesca che ha dato il suo meglio in questa terra che lo ha visto nascere. Contemplare capolavori però in modo diverso dalla bulimia tipica del tour turistico nelle città d’arte: vedere un’opera al giorno, ben contestualizzata dal punto di vista storico e artistico, ma sopratutto spirituale: opere che scandiscono i giorni del triduo e aprono alla terza parola chiave, che è preghiera. Vissuta sia personalmente nel colloquio col Dio nascosto dietro alla sua Parola, ma sopratutto nella liturgia. La spiegazione e la preparazione dei riti del triduo hanno permesso di viverli in modo consapevole, facendone il momento culminante delle giornate.

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