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Livio Passalacqua

Purché tenga

I maestri del Bereshit Rabbà, commentario talmudico-midrashico a Genesi, ci narrano che il Santo Benedetto dubita di se stesso proprio nell’atto di creare. Quei maestri si interrogano su cosa facesse l’Eterno prima di creare questo mondo e si rispondono: “Creava mondi e li distruggeva e persino quando, dopo molteplici tentativi, la creazione fu compiuta, il Santo Benedetto la contemplò, sospirò e pronunciò queste due parole: halevai sheyaamod (purché tenga)”. Questo ci ricorda il nostro amico Moni Ovadia.

Creava mondi e li distruggeva perché non gli interessavano proprio quelli che certamente avrebbero tenuto. E’ il Dio della relazione e non del diktat. Troppo semplice far funzionare il mondo in maniera deterministica. E’ il Dio del corteggiamento, fedele oltre l’adulterio del partner. E’ come una mamma e un papà che vogliono vedere crescere il pupo e non tollerano un figlio già adolescente e ancora con grembiule e baverino bianco. Accetta solo un mondo che non dia garanzie proprie perché è affidato unicamente alla responsabilità della creatura.

E ancora oggi, poiché è affidato a noi, neppure il Signore sa se terrà. Dal 1945, impossessandosi dell’Energia nucleare, per la prima volta nella sua storia, l’umanità è in grado di autodistruggersi. Il Signore ha ceduto a noi perfino la data della fine del mondo, una data che appariva inesorabilmente Sua e che neppure il Figlio incarnato pretendeva di conoscere.

Ha esteso a noi il potere di annullare il creato. Con l’aumento della nostra capacità distruttiva in campo ecologico Egli lascia e raddoppia dandoci una seconda occasione di rovinare tutto con l’inquinamento, l’aumento del calore, la desertificazione, la diffusione di malattie e altro.

Un generoso volontario nell’accoglienza ascoltando questo racconto sul ripetuto sfarinarsi delle ipotesi di creazione percepì odor di bestemmia e scomunicò in cuor suo il biblista che osava narrare tale impudicizia. Forse oggi dal Paradiso capisce che in questo spogliarsi di Dio e umiliarsi il disonore diventa il massimo di gloria perché è il massimo di amore e condivisione. Sembrava una bestemmia ed era salmo di gloria perché Dio non funziona come tappabuchi o burattinaio.

Ma il Creatore non potrebbe, non dovrebbe eliminare il male, il dolore, l’angoscia nel mondo? Non vede? Non vuole? Non può? Se non vede non è l’Onnisciente e allora non è Dio. Se non può allora non è l’Onnipotente e dunque non è Dio. Se non vuole allora è crudele e allora non è Dio. E allora Dio non c’è? Quale la risposta a questa logica stringente e fredda di un non credente? La risposta, calda, folle, apparentemente assurda: “Sapeva, poteva e non l’ha fatto”. Perché con tutto il suo essere di amore doveva lasciarci alla nostra libertà e condividere con noi la responsabilità nella gestione della terra.

Da quando è nato il primo uomo o il primo clan, Dio è entrato nella imprevedibilità. Da quando è apparso l’umano nel mondo Dio non è più l’Onnipotente. Non vuole più esserlo. Non gli interessa.

Si è iscritto volontariamente all’anagrafe nell’elenco dei poveri e dei senza dimora. Prigioniero della nostra libertà. “Siete prigionieri del mio amore” dice santa Teresa del Bambin Gesù al Padre, Figlio e Spirito Santo. Non come Napoleone che in nome della Rivoluzione libera, fraterna, egualitaria si proclama Imperatore.

Non gli interessa essere obbedito bensì amato. Perde molti seguaci per una manciata di innamorati.

Pubblichiamo gli articoli di Livio Passalacqua SJ per gentile concessione del settimanale diocesano Vita Trentina

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