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Astalli: pace e cittadinanza inclusiva le risposte al fenomeno migratorio

Giornata del Rifugiato in Gregoriana con Parolin, Lombardi e De Bortoli: “L’umanità non si arresta”.

Il tema della mobilità è entrato prepotentemente nelle agende politiche, condizionandole e determinando reazioni anche scomposte: le soluzioni prospettate a volte sembrano essere peggiori del male da cui milioni di persone stanno fuggendo, perché rischiano “di indebolire l’istituto giuridico della protezione internazionale che rappresenta l’espressione del rispetto della dignità”. Lo ha affermato padre Camillo Ripamonti, direttore del Centro Astalli, in apertura dell’incontro promosso in occasione della Giornata mondiale del rifugiato, mercoledì 21 giugno, presso la Pontificia Università Gregoriana. Il colloquio sulle migrazioni “Rifugiati: l’unanimità non si arresta” ha visto la partecipazione del card. Pietro Parolin e Ferruccio De Bortoli, moderati da P. Federico Lombardi. L’incontro è stato introdotto da Marco Baliani e da un messaggio di Melanny Hernandez rifugiata del Venezuela in Italia.

“In Europa – ha spiegato padre Ripamonti – c’è il tentativo di dare un tempo, cinque anni, alla protezione internazionale, come se la vita dei rifugiati non fosse già frantumata, mentre in Italia la legge 46, che abolisce un grado di giudizio, indebolisce ulteriormente i diritti di persone i cui diritti sono già stati violati”.
Presentando la Campagna “Rifugiati, l’umanità non si arresta”, padre Ripamonti ha evidenziato che quello attuale “è un momento delicato per le migrazioni” e ha ricordato che “sono 65 milioni e 600mila le persone che scappano, oltre 20 milioni quelli che attraversano i confini e 40 milioni i rifugiati interni”.
Ma, ha scandito, “l’umanità non si arresta, non si detiene, né nei Paesi di provenienza né in quelli di transito con accordi che esternalizzano le frontiere né facendo finta che i corridoi umanitari siano la soluzione, mentre si lasciano morire in mare moltissime persone”. “La nostra – ha concluso – sarà una società migliore se la nostra umanità saprà accogliere l’umanità in fuga che la storia ci insegna non si può arrestare”.

“La prima preoccupazione è la pace”, ha tagliato corto il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, per il quale “per ridurre il fenomeno delle migrazioni, dobbiamo assicurare la pace laddove c’è la guerra”.
“La Santa Sede lavora per assicurare la pace e per ridurre i conflitti, anche attraverso le mediazioni in corso in varie regioni del mondo con risultati più o meno efficaci”, ha sottolineato Parolin. Nel conflitto della Siria, ha aggiunto, “la Santa Sede ha cercato di insistere sulla questione dei diritti umanitari”. “Si attaccano indiscriminatamente – ha spiegato – i civili, gli ospedali, le scuole: questo distrugge il tessuto sociale e mette in pericolo le persone, facendo aumentare anche il numero dei rifugiati”.
Un altro tema legato al fenomeno delle migrazioni è quello della povertà che, ha ricordato il segretario di Stato vaticano, “costringe moltissime persone a lasciare il proprio Paese”. “I migranti economici non sono riconosciuti come rifugiati, ma sono migranti forzati che scappano da situazioni in cui non è possibile vivere”, ha scandito il card. Parolin evidenziando che “la comunità internazionale deve interrogarsi su come assicurare loro la protezione di cui hanno bisogno”. Secondo il porporato, nel contesto attuale, dove non manca “un clima di rifiuto, di paura e di diffidenza”, esistono tuttavia anche dei “segnali di speranza”, quali ad esempio, “la crescente consapevolezza dell’interdipendenza tra gli Stati” e “il grande impegno da parte di varie organizzazioni per dare risposte umane a rifugiati”.

“La prospettiva per l’Europa e per l’Italia è quella di guardare al futuro tornando al passato, recuperando cioè la dimensione fondamentale dell’Europa la cui identità è sempre stata dinamica e multiculturale”, dice il card. Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, per il quale “tutto ciò non va dimenticato se si vogliono affrontare con consapevolezza le sfide e le difficoltà che queste comportano”. “Papa Francesco – ha ricordato – ci dice che, in un mondo diversificato, la sfida è quella di trasformare la differenza in fonte di arricchimento reciproco”. La differenza, infatti, ha ribadito, “non è un rischio né una minaccia, ma un’occasione per arricchirci reciprocamente”.

“Un futuro degno è un futuro in cui la cittadinanza non è esclusiva o escludente, ma fattore per la costruzione di una comunità civile in cui anche i rifugiati entrano a farne parte”, ha aggiunto nel suo intervento padre Federico Lombardi, presidente della Fondazione Ratzinger, che ha moderato il colloquio

Non bisogna “parlare di flussi migratori in astratto, ma considerare, come ci chiede papa Francesco, i volti, le storie, le sofferenze, le esperienze e le ricchezze di questi nostri fratelli e sorelle”, ha detto padre Lombardi.
Occorre inoltre “combattere l’indifferenza e non lasciare che sia l’illegalità a gestire il fenomeno come se accettassimo la costruzione di una società parallela, invisibile, che non vogliamo vedere”, ha osservato da parte sua il giornalista Ferruccio De Bortoli, presidente della casa editrice Longanesi. “E’ in atto una rimozione istantanea della sorte dei migranti. È un fenomeno tanto veloce quanto forte è l’indignazione degli esodi in massa. Allora il destino dei rifugiati, dei minori non accompagnati, di tante famiglie ci colpisce, ci commuove ma al contempo e irresistibile la tentazione di spostare lo sguardo altrove”. Il giornalista ha sottolineato le responsabilità della comunicazione: “Certamente una colpa è dell’informazione e della comunicazione pubblica che in poche ore sostituisce una notizia con una altra e cancella in poco tempo la memoria. Abbiamo schiacciato la nostra memoria. C’è un’attualità immediata che scaccia l’attualità permanente come è quella dei rifugiati. È compito di una cittadinanza responsabile e di una comunicazione sensibile di non trascurare l’attualità permanente perché come dice il titolo di questa giornata: L’umanità non si arresta”. Per De Bortoli  è necessario “incoraggiare un’accoglienza regolamentata dei lavoratori di cui abbiamo bisogno”. “Se non c’è questa politica, si finisce per favorire il sommerso e il nero”, ha evidenziato il giornalista che si è chiesto se in futuro non si porrà l’esigenza di “mettere un limite all’accoglienza per garantirne una migliore qualità”. “Credo – ha concluso – che questa sarà una via ineludibile anche per rispondere alle paure dei residenti che non vanno criminalizzate”.

 

 

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