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Punizioni e mortificazioni della carne – Nei secoli…penitenti

Tranquillizziamo subito i nostri lettori o i futuri novizi: oggi le pene corporali o le punizioni non sono più in uso nell’Ordine, i Superiori si affidano al dialogo e al discernimento personale per affrontare qualsiasi questione con i propri confratelli.

Digiuni, punizioni, penitenze e mortificazione della carne erano però considerate, in passato, validi strumenti per correggere comportamenti sbagliati, punire l’infrazione della Regola, rinforzare la disciplina.

Sia nei collegi della Compagnia, sia nelle comunità si faceva ricorso ad alcune punizioni per rimediare a errori di ragazzi e confratelli ma anche per il pentimento e la preghiera. Oggi non ci soffermiamo sul mondo dei collegi, al quale sono riservati altri approfondimenti – ricordiamo brevemente che nei diari di casa conservati in archivio vi sono riferimenti al digiuno o all’obbligo di saltare uno svago pomeridiano a beneficio dello studio per gli allievi più vivaci.

Ci soffermeremo invece sulle punizioni riservate ai gesuiti e ai primi novizi; la preziosa fonte che ci restituisce queste informazione è costituita dal volume più antico conservato nel nostro archivio che offre numerosi spunti di ricerca. Si tratta di un libro di consuetudini del Noviziato di S. Andrea al Quirinale, il volume risale agli ultimi anni del XVI secolo.

Il registro è diviso in due parti, nella prima sono presentati gli orari e le mansioni giornaliere di ogni novizio e gesuita, divise per mesi, nella seconda invece sono riportate le regole di casa, avvertimenti per i novizi intenti in varie faccende: cucinare, badare all’infermeria, sistemare i libri in biblioteca, pulire.

Proprio in questa sezione un paragrafo è dedicato alle Penitenze ordinarie per Novitii.

I novizi, spesso molto giovani – ancora per tutta la prima metà del Novecento i nostri noviziati hanno ospitato aspiranti gesuiti di appena 15 o 16 anni, molti dei quali oggi fedeli membri della Compagnia – dovevano adattarsi alla nuova vita e modificare alcuni aspetti del proprio carattere.

Non era permesso, ad esempio, parlare a tavola e per chi infrangeva la regola la punizione era alquanto originale poiché il novizio doveva «star tutta la tavola (per tutta la durata del pasto) col dito alla bocca pel silentio». Questa come anche altre regole furono applicate ancora per secoli e osservate fino ad alcuni decenni or sono, come già abbiamo visto per i padri del Gesù di Roma negli anni ‘20 richiamati al silenzio. Il novizio che faceva divagare lo sguardo o che si distraeva doveva restare «con gl’occhi serrati per la curiosità». Per coloro che faticavano a tenere un’adeguata postura di braccia e mani era prevista una punizione altrettanto originale: «Con le mani legate o congiunte insieme per l’agitatione indecente». Infine per chi a tavola o in altri contesti avesse dimostrato la propria disattenzione dal pasto o dal libro di testo era pronta una regola rigida tanto quanto le precedenti: «[stare]con il capo o collo dritto per li torcenti».

Anche la recitazione delle preghiere costituiva un momento utile per le penitenze: gli si richiedeva di baciare i piedi dei confratelli in precisi momenti delle preghiere o di «dire un’ave Maria ogni volte che si beve in piedi co il capo scoperto o in ginocchioni in mezzo del Refettorio».

Non era raro, infine, che i novizi consumassero il proprio pasto «in terra in pubblico in ginocchioni» o che dovessero «stare in piedi o ginocchioni mentre si legge il martirologio».

Forme di penitenza ormai superate da anni, non troppi però a giudicare da quanto raccontato da alcuni padri passati in archivio, i quali hanno riferito di punizioni ricevute fino a metà degli anni Settanta.

Maria Macchi