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I 30 anni del Magis

L’Ong è attiva in 21 Paesi, con 38 progetti di sviluppo in Africa, Asia, America latina ed Europa

La Fondazione Magis compie trent’anni. Era il 1988 quando vide la luce con lo scopo di «coordinare le attività di solidarietà internazionale della Provincia d’Italia della Compagnia di Gesù». La sua nascita fu il risultato di un lungo lavoro di ripensamento del settore della cooperazione da parte dei gesuiti italiani.

«Fino ad allora – ricorda padre Giuseppe Bellucci che partecipò attivamente alla nascita del Magis come direttore della rivista “Popoli” – i missionari venivano aiutati da cinque Procure delle missioni (Genova, Gallarate, Roma, Napoli e Palermo) alle quali si aggiungeva la rivista “Popoli” che funzionava anch’essa come una sorta di Procura delle missioni. A partire dagli anni Settanta, però, il panorama della cooperazione internazionale ha iniziato a cambiare: era nato l’8xmille e, con esso, la Conferenza episcopale italiana era diventata uno degli attori principali dei finanziamenti ai missionari. Nello stesso periodo sono aumentati i fondi messi a disposizione dalle organizzazioni internazionali. Nasceva quindi la necessità come gesuiti di presentarci di fronte a queste istanze con una voce sola».

Da questa necessità è scaturita la lunga riflessione che è alla base della nascita del Magis. L’idea iniziale era quella che i gesuiti disponessero di un’organizzazione che si occupasse della cooperazione missionaria senza per forza eliminare le Procure. Progressivamente, però, le Procure hanno ceduto le loro funzioni. Alcune hanno cessato subito la loro attività. Altre, più strutturate, hanno resistito più a lungo, fornendo comunque un sostegno al Magis.

«La nascita del Magis è stata positiva – continua padre Bellucci -. Per i gesuiti avere uno strumento unico che coordinasse la cooperazione internazionale e missionaria è stato un passo in avanti importante. Ci sono state difficoltà è indubbio, ma condurre in porto un processo così importante non è semplice e i problemi sono fisiologici».

Ma com’è strutturato oggi il Magis? La fondazione, che è una Ong, è diventata l’opera missionaria della Provincia Euromediterranea della Compagnia di Gesù. Ha un organico molto ridotto, con una decina tra dipendenti e collaboratori ed è attiva in 21 Paesi, con 38 progetti di sviluppo in Africa, Asia, America latina ed Europa. Il Magis lavora in rete con altre realtà internazionali legate alla Compagnia di Gesù: Xavier Network, la rete delle Ong gesuitiche europee, australiane e nordamericane che operano nella cooperazione internazionale; Jesuit Refugees Service, l’organizzazione impegnata nel sostegno dei rifugiati; Lok Manch, la piattaforma di cento associazioni nata in India nel 2016 per difendere i diritti di dalit e adivasi.

«Noi – spiega padre Renato Colizzi, presidente del Magis – lavoriamo per un mondo-casa comune dove si apprende a celebrare la vita oltre la povertà, la violenza e la corruzione. In questo contesto, ci muoviamo per promuovere la missione dei gesuiti nel mondo per la riconciliazione con Dio, dentro l’umanità e con la creazione, aiutando le comunità locali a diventare attori di cambiamento sociale per uno sviluppo integrale e sostenibile. Comunità che vivono a livello locale sfide che sono trasversali e globali».

Il Magis opera prevalentemente in quattro settori: educazione, diritti fondamentali, pace e cultura. «I progetti – spiega padre Colizzi – sono pensati, scritti e implementati dai gesuiti che vivono in loco e che quindi conoscono bene i bisogni delle persone, delle comunità e delle Chiese locali. I gesuiti, a loro volta, si muovono in un progetto più grande che è quello della Provincia della Compagnia di Gesù alla quale appartengono. In sostanza, i gesuiti partono da esigenze che avvertono nel loro territorio e le inseriscono nel progetto complessivo della Provincia. Al Magis, poi, fa capo anche una rete di realtà missionarie legate alla Compagnia di Gesù che lo stesso Magis sostiene».

La fondazione è impegnata anche in progetti in Italia. «La società globalizzata e multiculturale, la povertà, gli squilibri, le migrazioni forzate, i cambiamenti climatici, i conflitti che caratterizzano il nostro tempo rappresentano una sfida per le istituzioni educative e la società in generale – conclude padre Colizzi -. Una sfida difficile e tuttavia vitale che ha bisogno di azioni concrete e di percorsi di educazione interculturale, intesa come la forma più alta di prevenzione e contrasto al razzismo e a ogni forma di intolleranza, un’educazione atta a prevenire il formarsi di stereotipi nei confronti di persone e culture. In questo contesto, si tengono incontri con ragazzi nelle scuole e nelle università. Attività che svolgiamo anche in associazioni, gruppi, movimenti, organizzazioni di volontario».

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