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Stati Uniti. Padre Hatcher, un gesuita alle frontiere del Sud Dakota

 

Fin dai tempi di Sant’Ignazio, la Compagnia di Gesù ha prestato servizio alle frontiere: tanto quattro secoli fa, quando i primi gesuiti lasciarono le loro comunità in Europa per creare delle missioni in Cina, quanto oggi, ai confini tra gli Stati Uniti e il Messico dove i gesuiti si prendono cura degli immigrati senza documenti. La chiamata dei gesuiti all’insegnamento, alla preghiera e al servizio è stata ribadita la scorsa estate da Papa Francesco quando ha detto: “Il vostro posto è alle frontiere. Quello è il posto dei gesuiti”. Le frontiere possono essere di diversi tipi: geografiche, interreligiose, educative e concernenti la giustizia sociale, solo per citarne alcune. Un esempio di gesuiti alle frontiere è il P. John Hatcher, che da più di 40 anni si dedica al servizio delle popolazioni indiane dell’America nel Sud Dakota. Nel 1972, il P. John arrivò nella riserva indiana di Rosebud con l’intenzione di trattenersi per sei settimane; dopo oltre 40 anni si trova ancora lì. Rosebud e la sua gente hanno lasciato un segno nel suo cuore, e non se ne andrebbe per niente al mondo. A 70 anni, il P. Hatcher non dà segno di cedimento. Spesso in viaggio per occuparsi della raccolta fondi, ha completa fiducia nel suo consiglio d’amministrazione e nel suo gruppo direttivo, composto esclusivamente da indiani d’America. “Sono un insegnante per natura e mi sento al meglio quando vedo che i miei allievi superano il loro maestro, come è successo qui… Se diamo fiducia alle capacità direttive degli indiani laici, potremo ottenere grandi risultati”. Dopo più di 125 anni dall’arrivo dei primi gesuiti alla riserva indiana di Rosebud, il P. Hatcher dice che lo spirito della frontiera gode di ottima salute. “Questa è una frontiera perché, solitamente, le popolazioni degli indiani d’America vengono trascurate. Qui abbiamo una popolazione che per la maggioranza è senza istruzione e che soffre di dipendenze da alcool, droga e depressione. Ma essa ha molto da dare se ce ne prendiamo cura e l’aiutiamo a credere nelle sue capacità di successo”. 

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