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Roma. Sinodo sulla famiglia: Civiltà Cattolica pubblica gli atti

Quasi uno strumento di lavoro per tenere a portata di mano tutti i materiali che sono stati pubblicati durante il Sinodo straordinario dei vescovi sulla famiglia: gli interventi del Papa, le diverse relazioni, il documento preparatorio e quello conclusivo. La recente assise, parte di un cammino che si concluderà con il sinodo ordinario del prossimo ottobre, è protagonista del volume “La famiglia è il futuro”, edito da Ancora, nella collana Crocevia in collaborazione La Civiltà Cattolica. Nella lunga introduzione, il direttore della rivista, padre Antonio Spadaro, che Papa Francesco ha nominato membro del Sinodo straordinario, fa memoria del cammino percorso offrendo alcune chiavi di lettura.

Padre Spadaro nel dibattito contemporanea la famiglia è diventata bandiera di fazioni opposte. Qual è stato a suo parere lo spirito dei vescovi che hanno partecipato al Sinodo?

“Il tono dell’assemblea è stato dato dal Papa che ha chiesto ascolto umile e parresia, chiarezza al di là di ogni timore. E il clima del Sinodo è stato questo. Dunque non parlerei di fazioni, ma di pastori che hanno espresso la loro visione delle cose. Certo, ho capito che la vera differenza non è tra conservatori e progressisti. Questa è una distinzione diventata relativa. La vera differenza che ho sperimentato è stata tra pastori, davvero attenti alla vita della gente, del loro popolo, e «ideologi», attenti solo al piano di una dottrina astratta, ma senza davvero farsi sollecitare dal vissuto. Per me comunque una cosa è chiara: il compito dei pastori deve essere innanzitutto quello di valorizzare ciò che è attrattivo nella vita familiare. Mai la famiglia può essere issata come una bandiera ideologica di alcun tipo: è una esperienza fragile e complessa – e per questo ricca –, che mette in gioco non le idee ma le persone. Questo ‘gioco’, oggi più che mai, si è fatto complesso. L’uomo e la donna stanno interpretando se stessi in maniera diversa dal passato, con categorie differenti. Va detto che nulla è stato dato per scontato: il processo sinodale ha davvero inteso aprire gli occhi sulla realtà della coppia umana, anche negli aspetti più problematici: dai matrimoni irregolari alla poligamia, alle unioni omosessuali”.

Durante i giorni del Sinodo, ma già da prima, si sono registrati delle tensioni tra le diverse anime dell’episcopato mondiale. Lei che idea si è fatto, dal di dentro?

“Proprio perché il dibattito fosse davvero tale, il Santo Padre ha nominato al Sinodo membri, alcuni dei quali, in maniera opposta e divergente, avevano espresso il loro parere sui temi trattati. Alcuni media forse non erano pronti a una tale apertura e pluralità di posizioni e hanno semplificato il dibattito polarizzandolo su alcune figure. E tuttavia occorre dire che ciò non si è mai verificato nell’Aula, che invece ha visto l’espressione di posizioni molto diversificate, arricchite tra l’altro dalla internazionalità dell’assemblea e dell’eterogeneità delle loro esperienze pastorali. Sono emersi anche modelli diversi di Chiesa, ma anche impostazioni culturali differenti, a tratti opposte, considerando il Paese o anche il Continente di provenienza dei Padri. In questo senso è possibile affermare che nell’Aula si è respirato davvero un clima “conciliare”. Il Sinodo ha aperto uno spazio ampio di approfondimento teso non a negare, ma a comprendere meglio. Nelle parole del cardinal Marx: ‘Il Vangelo non si cambia, piuttosto ci chiediamo: abbiamo già scoperto tutto?’. La conflittualità è parte integrante di un processo. Nell’introduzione al volume ho voluto raccontare la vicenda dall’interno”.

Si è molto parlato della questione dell’accesso ai sacramenti delle persone divorziate risposate. Che cosa può dirci dal suo punto di vista?

“Penso che serva una Chiesa capace ancora di ridare cittadinanza a tanti dei suoi figli. La cittadinanza cristiana è frutto della misericordia. Se la Chiesa è davvero madre, tratta i suoi figli secondo le sue uterine viscere di misericordia: non sottomette il suo abbraccio a regole, ma semmai a processi di gestazione, allevamento e formazione, anche di carattere penitenziale. Allora la domanda radicale che alcune coppie in situazioni problematiche pongono è se possano esistere, per la misericordia viscerale di Dio, situazioni radicalmente irrecuperabili, così che la Chiesa non possa far altro che escludere definitivamente la loro possibilità di accedere al sacramento della riconciliazione. Come possiamo comportarci, ad esempio, davanti a una donna che, dopo un matrimonio fallito e dopo anni di una vita ricostruita con seconde nozze e figli, si pente di gravi peccati passati (un aborto, ad esempio, praticato prima del divorzio) e vogliono riconciliarsi sacramentalmente con Dio? Non possono esistere situazioni irrecuperabili perché, come di recente ha affermato il Papa, il mistero della Chiesa è mistero di consolazione. In questo senso è necessario anche riscoprire i sacramenti nella loro forza di aiuto per gli uomini nei momenti del cammino e nelle debolezze della vita. «Come il cibo del corpo serve a restaurare le forze perdute, l’Eucaristia fortifica la carità, leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica. E allora come può la Chiesa arrivare in aiuto con la forza dei sacramenti a chi vive situazioni familiari complesse? Ricordiamo col Catechismo che «La crescita della vita cristiana richiede di essere alimentata dalla Comunione eucaristica, pane del nostro pellegrinaggio», del resto, ha scritto il Papa nella Evangelii Gaudium, è il pane del cammino di noi peccatori, rimedio e un alimento per i deboli”.

Che valore, secondo lei, papa Francesco attribuisce al processo sinodale?

“Il processo sinodale aperto dovrà sempre di piu plasmare la vita della Chiesa”: papa Francesco lo aveva già annunciato chiaramente nell’intervista che ha concesso alla Civiltà Cattolica – pubblicata il 19 settembre 2013 – con queste parole: “Si deve camminare insieme: la gente, i vescovi e il Papa”. Va anche ricordato che il suo pontificato si è aperto con un discorso basato su tre verbi: camminare, edificare e confessare, collocando al primo posto “camminare”. E un cammino insieme e proprio syn-odos, synodus. E nel discorso finale ha aggiunto: “Potrei dire serenamente che – con uno spirito di collegialita e di sinodalità – abbiamo vissuto davvero un’esperienza di “Sinodo”, un percorso solidale, un “cammino insieme”. E un’ulteriore conferma della volontà di mettere la Chiesa in uno stato sinodale è venuta nella lettera che indirizzato al cardinal Baldisseri: “Si possono e si devono cercare forme sempre piu profonde e autentiche dell’esercizio della collegialita sinodale, per meglio realizzare la comunione ecclesiale e per promuovere la sua inesauribile missione”. Dunque è chiaro: nel suo Pontificato, Francesco intende imprimere alla Chiesa la ‘dinamica della sinodalità’ che certo non finirà con questo Sinodo”.

Quali sono le condizioni di questo cammino?

“La prima condizione richiesta perché il processo sinodale abbia realmente valore ed efficacia consiste nella piena libertà di parola e di espressione di chi ne è attore. Francesco ha posto esattamente nel suo ministero petrino il fondamento della serenità di coscienza nel dire ciò che si pensa. E libertà di parola e umiltà di ascolto sono state richieste perché il Papa ha inteso mettere la Chiesa in un serio processo di discernimento pastorale, che ha come base la schiettezza, e che non deve temere divergenze e conflitti. Ai padri sinodali ha dato un’ ulteriore e importante avvertenza: il Sinodo non è e non deve essere una catena di interventi colti; “le Assemblee sinodali non servono per discutere idee belle e originali, o per vedere chi è più intelligente…” Lo scopo del Sinodo è quello di coltivare e custodire meglio la vigna del Signore. Per questo non deve semplicemente ripetere la dottrina, ma soprattutto esprimere uno slancio pastorale verso le sfide che oggi viviamo”.

Qual è il quadro di riferimento venuto fuori dal Sinodo?

Il quadro di riferimento dei Padri sinodali non è stato l’affresco di una famiglia modello, ma il puzzle, a volte indecifrabile, di una complessità da affrontare senza sconti. Sono state passate al veglio con consapevolezza problematiche inedite fino a pochi anni fa, dalla diffusione delle coppie di fatto, che non accedono al matrimonio e a volte ne escludono l’idea, alle unioni fra persone dello stesso sesso, cui non di rado è consentita l’adozione di figli. Fra le numerose nuove situazioni che richiedono l’attenzione e l’impegno pastorale della Chiesa basterà ricordare: matrimoni misti o inter-religiosi; famiglia monoparentale; poligamia; matrimoni combinati con la conseguente problematica della dote, a volte intesa come prezzo di acquisto della donna; sistema delle caste; cultura del non-impegno e della presupposta instabilità del vincolo; forme di femminismo ostile alla Chiesa; fenomeni migratori e riformulazione dell’idea stessa di famiglia; pluralismo relativista nella concezione del matrimonio; influenza dei media sulla cultura popolare nella comprensione delle nozze e della vita familiare; tendenze di pensiero sottese a proposte legislative che svalutano la permanenza e la fedeltà del patto matrimoniale; diffondersi del fenomeno delle madri surrogate (utero in affitto); nuove interpretazioni dei diritti umani. Ma soprattutto in ambito più strettamente ecclesiale, indebolimento o abbandono della fede nella sacramentalità del matrimonio e nel potere terapeutico della penitenza sacramentale”.

E qual è il campo di battaglia oggi?

“Le sfide che riguardano la vita coppia oggi sono numerose: il calo delle nascite e l’invecchiamento della popolazione hanno rovesciato i rapporti fra giovani e anziani; la contraccezione consente la scissione tra sessualità e generatività; la procreazione assistita rompe l’identità tra generare ed essere genitore; le famiglie ricostituite portano all’esistenza legami e ruoli parentali con complesse geografie relazionali; le coppie di fatto pongono la questione della istituzionalizzazione sociale dei loro rapporti; le persone omosessuali si chiedono perché non possano vivere una vita di relazione affettiva stabile da credenti praticanti. Ma, in realtà, il vero problema, la vera ferita mortale dell’umanità oggi e che le persone fanno sempre più fatica a uscire da se stesse e a stringere patti di fedeltà con un’altra persona, persino se amata. E questa umanità individualista che la Chiesa vede davanti a sé”.

Come la Chiesa, ospedale da campo, può essere presente nel mondo?

“Sia la Relatio post disceptationem sia la Relatio Synodi sia il Messaggio sono concordi nel parlare di una ‘Chiesa fiaccola’ in relazione a una ‘Chiesa faro’. La Chiesa, infatti, è lumen, luce, perché sul suo volto si riflette la luce di Cristo, che è Lumen gentium. Questa luce però può essere intesa in almeno due modi che non si escludono, ma che sono differenti. Innanzitutto come ‘faro’, la cui caratteristica e quella di dare luce, ma di essere fermo, poggiato su solido fondamento. Ma può essere intesa anche come ‘fiaccola’. Qual è la differenza tra faro e fiaccola? Il faro sta fermo, è visibile, ma non si muove. La fiaccola, invece, fa luce camminando la dove sono gli uomini, illumina quella porzione di umanità nella quale si trova, le loro speranze, ma anche le loro tristezze e angosce”.

Quali sono le coordinate del cammino?

“La strada giusta per pensare in termini di misericordia e di consolazione è il discernimento pastorale, vissuto con prudenza e audacia. E’ il risultato di quello che il Papa ha definito ‘pensiero incompleto’ e aperto, che sempre guarda il cammino all’orizzonte, avendo come stella polare Cristo. Il pensiero è ‘incompleto’ non perché debole o approssimativo, ma semmai perché ‘approssimato’, cioé perché ha sempre presente il prossimo, la persona, la salvezza di ciascuno. Esso si applica anche a quelle che lo stesso Francesco ha definito sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere”.

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