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Gerusalemme. Gesuiti in Terra Santa, intervista a Stefano Bittasi

Stefano Bittasi, 51 anni, gesuita, vive dal 2012 a Gerusalemme per avviare e dirigere i programmi di formazione per i gesuiti, un’iniziativa promossa dal Padre Generale della Compagnia di Gesù, Adolfo Nicolas

Sul sito della Fondazione Martini padre Stefano spiega contenuti e obiettivi di un progetto sostenuto anche dalla Fondazione, grazie al contributo generoso di alcuni donatori.
Quali sono l’ispirazione di fondo e gli obiettivi principali dei Programmi di formazione per gesuiti a Gerusalemme?
Nel processo di discernimento riguardo all’uso della Casa del “Pontifical Biblical Institute” (PBI), la Compagnia di Gesù ha deciso all’inizio del 2012 di provare a proporre a Gerusalemme programmi di formazione permanente per gesuiti provenienti da tutto il mondo con la finalità di entrare in contatto con la Terra della Parola di Dio. Questa prospettiva voleva essere in qualche modo la continuazione e l’espansione su chiave mondiale dell’esperienza portata avanti per molti anni da padre Francesco Rossi de Gasperis SJ, come proposta ai gesuiti della Provincia d’Italia. Fui chiamato dunque a tentare di meditare e riproporre tali itinerari formativi alla luce delle esigenze della missione della Compagnia secondo le indicazioni della recente Congregazione Generale 35ma.
Una seconda parte della mia missione riguarda la possibilità di avere a Gerusalemme un gesuita a disposizione per seguire compagni che desiderino fare “anni sabbatici”, oppure che vogliano essere seguiti personalmente per Esercizi Spirituali. In questo, gli anni trascorsi qui dal già citato padre Rossi de Gasperis e dal Cardinale Carlo Maria Martini sono sembrati un tesoro che valeva la pena custodire e promuovere. Certamente io non sono alla loro altezza, ma per molti gesuiti (oltre che per diversi sacerdoti e religiosi) è importante la garanzia di una presenza che possa essere a supporto dei loro desideri non direttamente legati agli studi accademici, ma in diretto contatto con la Terra e la Parola di Dio.
Per noi gesuiti, inoltre, ha particolare valore l’esperienza di Ignazio di Loyola che ha compiuto qui il suo pellegrinaggio e che ha proposto ai suoi primi compagni Gerusalemme come luogo verso cui tendere. Entrare in contatto con quest’esperienza è fondamentale nel cammino formativo di ogni gesuita. Il testo dell’Autobiografia di Ignazio gioca un ruolo importante negli anni di studio e di formazione. Ripercorrere con i nostri piedi oggi i passi di Ignazio, per noi gesuiti, è un’esperienza unica.

Ci puoi fornire qualche dato su questi primi anni di esperienza? Quanti gesuiti sono stati coinvolti? Da dove arrivavano?
Una settantina di gesuiti hanno usufruito della possibilità di partecipare a uno dei programmi. Il programma di luglio tradizionalmente ha visto la partecipazione di scolastici, sia del Collegio del Gesù di Roma (nella tappa di formazione degli studi teologici), sia di altri centri di formazione (Stati Uniti, Filippine). Gli altri programmi sono stati seguiti da gesuiti provenienti veramente da tutti i continenti e di età molto diverse tra loro.
Certamente l’aspetto economico è un punto sensibile per molti. Il viaggio e la permanenza qui non sono tra i più economici. Capita purtroppo spesso che alcuni gesuiti provenienti da alcune zone del mondo (ad esempio Africa e India) non si sentano di affrontare questa ingente spesa. Attualmente l’opera che dirigo è in grado di venire incontro con alcune borse di studio e con alcuni aiuti. Tuttavia non quanto desidererei. Se potessi garantire ai superiori regionali un certo numero di posti pagati (totalmente o parzialmente) in ogni programma, la partecipazione sarebbe senz’altro superiore.

Raccontaci come si articola un “programma tipo”…

Ci sono fondamentalmente tre tipologie di Programma proposte (per uno sguardo più ampio scarica il documento ufficiale di presentazione, in inglese, ndr).
Anzitutto gli otto giorni di Esercizi Spirituali a Gerusalemme seguiti da un tempo abbondante di visita di Israele e Palestina, secondo lo stile espresso sopra; una seconda tipologia è il pellegrinaggio di un mese, in cui si dà molto spazio alla meditazione personale della Parola di Dio, così come si colloca all’interno di una geografia e di un tempo che possono aiutare una presa di contatto davvero “incarnata” con la rivelazione del Dio-Con-Noi; infine un “Immersion Program” che nell’arco di un mese propone diverse esperienze spirituali e culturali per meglio entrare in contatto con questa Terra.

Quali aspetti di consonanza vedi tra il pensiero e il metodo di Martini e la proposta dei Programmi?

Certamente Martini ha molto guardato a Gerusalemme come a uno dei “centri” del suo itinerario umano, religioso e ministeriale. Per averne un piccolo assaggio vale la pena leggere il bellissimo testo Gerusalemme: Storia, Mistero, Profezia (prolusione alla XXVI Settimana Biblica Nazionale, presso il PIB di Roma il 15/9/1980, pubblicata ultimamente in C.M. Martini, Le ragioni del credere, Mondadori 2011, 649-662).
Gerusalemme ha la capacità unica di riuscire a fare entrare l’uomo in contatto con il passato, il presente e il futuro profetico della rivelazione del Dio Incarnato per noi (come Salvatore) e con noi (come Emmanuele). È l’unico Dio di Abramo, di Israele e di Gesù. Come Dio di Abramo siamo rivolti a lui insieme ai nostri fratelli Ebrei e Musulmani. Così qui a Gerusalemme la relazione con la Terra, con la Parola di Dio, con il coinvolgimento storico di Dio con l’umanità, con l’inculturazione e il dialogo ecumenico, diventa un’esperienza unica e non possibile altrove. I Programmi di Formazione Permanente per gesuiti si collocano in questa prospettiva e provano a rendere possibile una tale esperienza.

Che cosa significa vivere questa esperienza in un contesto così particolare dal punto di vista religioso, culturale e politico?

Questa Terra vive da millenni nella compresenza e nella coabitazione di narrative diverse. A volte tali narrative sono divenute esperienza comune e condivisa, altre volte sono divenute fonte di conflitti e di memorie di male subìto. Sembra questa essere una condizione permanente di Gerusalemme e di questa regione del mondo. Toccare con mano l’unicità tutta particolare di questa Terra aiuta molto i gesuiti che vivono in zone così diverse del mondo a entrare nei paradigmi caratteristici del modo di procedere della Compagnia (la dinamica dell’Incarnazione, che permette di cercare e trovare ovunque la presenza di Dio, ricerca di una fede che si incarna nella giustizia, il dialogo come metodo che permette l’inculturazione). Ecco perché è un luogo unico e il tempo qui è un tempo unico proposto al cammino spirituale dei gesuiti.

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